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Why Dancing Can Be Equated With Life

Dance and philosophy share a deep, intimate link that Sara Luppi, writer, and classic dancer, explores and finely clarifies for Rekh Magazine. This is the first paper concerning a more and more internationally relevant topic, whose scholarly contributions deserve to be widely disseminated.

Ballerini provano una coreografia (Wix pic)


di Sara Luppi


“Il fatto che la danza sia sempre esistita ci costringe ad accettarla come un’attività umana antica e radicata profondamente nella natura dell’essere umano. Essa continuerà ad esistere finché sarà operante il flusso ritmico di energia e finché gli umani non cesseranno di rispondere alle forze della vita e dell’universo. Finché ci sarà vita, ci sarà danza”.

Più di un secolo fa, l’educatrice Margaret N. H’Doubler si esprimeva così riguardo al concetto di danza tanto che, a pieno titolo, venne considerata la madre della Dance Education e quindi una delle pioniere quanto a idee rivoluzionarie sulla concezione filosofica della più effimera fra le Arti e sulle modalità di trasmissione e diffusione della stessa.

L’uomo balla. Dalla preistoria. Subito dopo le attività fondamentali che assicuravano agli uomini primitivi la sopravvivenza come la caccia, il cibo e il riparo, viene il ballo. È il primo sfogo, in assoluto, per far vivere le emozioni; il primo bagliore che apre alle Arti.

Non c’è bisogno di scomodare l’antropologia culturale o la sociologia sistemica per riconoscere che in nessuna occasione della vita dei popoli si poteva fare a meno della danza. È sufficiente sfogliare qualche buon libro di storia per comprendere come la nascita, la circoncisione e la consacrazione delle vergini, il matrimonio e la morte, la semina e il raccolto, la celebrazione dei capitribù, la caccia, la guerra e le feste, anche quelle ricorrenti fra sovrani ed imperatori nelle regge folgoranti, i cambiamenti della luna e la malattia, per tutto questo, insomma, la danza era necessaria.

Tanto necessaria, la danza, quanto potente: essa era un mezzo per essere e splendere, per consacrare, venerare ed ammirare chi la praticava: Luigi XIV di Borbone, 64° re di Francia regnò per 72 anni, dando vita alla monarchia assoluta, fu chiamato Re Sole, perché appunto tutto ruotava intorno alla sua persona, come i pianeti intorno alla stella più luminosa.

Profondamente amante della danza, diede forte impulso alla disciplina editando coreografie di rilievo e un vocabolario ad hoc per i passi che ancor oggi vengono studiati in sala.


Friedrich Nietzsche dagli abissi di una profonda collisione della coscienza umana di fine ‘800 dovuta al processo di distruzione di tutti gli ideali tradizionali, rifletteva: “ogni giorno conto desolazioni, nelle quali non è esistita danza alcuna”.

Per diletto, e non ce ne voglia il lettore, ci piace scomodare un poco colei che è la madre del Sapere, la Filosofia, che raccoglie in sé tutte le Arti e ritrovare non certo per caso la fonte cristallina da cui la danza nasce e si nutre: se l’esistenza è inseparabile dai corpi, la danza - che si crea con i corpi - è inseparabile dall’esistenza. Questo sillogismo così fisiologicamente perfetto trova fondamento in uno dei massimi filosofi dell’antichità: Aristotele.

Già Aristotele trattava di danza e qualche più o meno noto passaggio intorno alla divisione del Sapere è presente nelle Scienze produttive o poietiche ovvero quelle Scienze che producono qualcosa rispetto alle Scienze teoretiche che sono rivolte invece alla solo conoscenza. Orbene, la danza - come il teatro, la musica, l’architettura o la medicina - appartiene a pieno titolo alle prime.

Fin da principio, è il movimento che contraddistingue la natura. Esso è proprietà delle realtà naturali e chi lo possiede acquista in potenza. E con il movimento dei corpi si arriva a dio, quel dio aristotelico che è principio primo ed immobile di tutto il movimento. La sua funzione non è dare ordine al tutto, bensì assicurare l’origine del movimento nel cosmo.

Non c’è da stupirsi se, secoli dopo, un altro padre della filosofia, quella nichilista, Friedrich Nietzsche dagli abissi di una profonda collisione della coscienza umana di fine ‘800 dovuta al processo di distruzione di tutti gli ideali tradizionali, rifletteva: “ogni giorno conto desolazioni, nelle quali non è esistita danza alcuna”.

La danza è vita, è movimento, la danza salva perché è forma di liberazione sia fisica che emotiva, producendo squisite emozioni e, in ultima analisi, estasi. Ludwing van Beethoven, compositore tedesco a cavallo fra due secoli cruciali, la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX, nelle sue Sinfonie, non dimentica l’impatto che la musica produce sul corpo umano, lasciando che il movimento si apra in modo composto attraverso le note ben calibrate del “minuetto”, esplodendo con sempre più forza incisiva e suadente nel movimento chiamato “scherzo”.

Un altro balzo e veniamo ad una delle figure più rivoluzionarie del secondo Novecento MauriceBejart e alle sue visioni innovative in campo coreografico. Seppe plasmare i corpi dei danzatori, in modo metafisico, creando un nuovo e più autentico linguaggio in termini coreutici, quello dello stile neoclassico, connettendosi ad altre arti come la recitazione e il mimo.

Se la danza è vita e la rappresenta, se la vita è un ritmo dettato dal battito cardiaco, allora la danza è inseparabile dal ritmo. Altro meraviglioso sillogismo, questa volta bejartiano, che porta ad un’altra stupefacente conclusione: “la danza interpreta la nostra esistenza, al punto che rappresenta tutti i ritmi e tutte le pulsioni umane”. Non c’è altro da fare che inchinarsi a tale senso della vita.

Vorrei concludere questa mia breve e modesta riflessione sulla danza, che ha costretto il lettore a sobbalzi temporali non indifferenti lungo la storia umana, con una perla di saggezza tersicorea.

Ballare significa esprimersi, significa utilizzare sé stessi, attraverso il movimento del corpo, per esprimere qualcosa al di là di sé stessi e che porta, ne sono certa, a sfiorare la candida rosa.


© Rekh Magazine


Scrittrice e danzatrice


Giornalista pubblicista e professionista in un'azienda di Como, madre di due ragazze, Sara Luppi è autrice del libro Nero ebano rosso orango, una favola contemporanea che porta alla luce, con una trama credibile e intrecciata a doppio filo alla cronaca, un messaggio di sostenibilità. Fin da giovanissima è danzatrice classica.

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