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A Volunteer and the Deepest Pain

  • Writer: Primavera Fisogni
    Primavera Fisogni
  • 2 hours ago
  • 5 min read

Mario Antonio Clerici, a writer who spent 45 years volunteering with the Red Cross, is the author of the last contribution on the topic of 'evil' explored by Rekh Magazine. What can be said about the suffering of a child? This is a true story that inspired one of the most moving chapters of Farsi Prossimo (2025), Clerici's latest book, the first recently published by Rekh Magazine Papers editorial hub


An emergency (Wix Pic)
An emergency (Wix Pic)


di Mario Antonio Clerici


C’è un compagno di strada con il quale non si vorrebbe mai percorrere nessun tratto della propria esistenza, ma che ci è sempre vicino. Ci fa arrabbiare, a volte fino a gridare, sempre ci interroga, lasciandoci con pochissime risposte, generalmente insufficienti. Nella mia lunga storia di volontario del soccorso ho imparato che domandare ragione del dolore non è la via giusta per affrontarne i colpi: quello che davvero conta è comparteciparlo. Mai essere semplicemente spettatori. Mai solo “operatori” che prestano aiuto. Perché, di fronte a chi soffre, si può fare molto anche soltanto dicendo: “Io ti capisco”, prendere la mano, detergere il sudore, fare in modo che il trasporto in ambulanza non accresca il disagio. C’è soltanto una circostanza in cui anche tutto questo appare insufficiente. È il dolore dei bambini, rispetto al quale, da persona e da genitore, non riesco ancora a trovare il benché minimo senso. Soffro anch’io, con la famiglia. Non lo do a vedere, certo. Ma accetto che dentro di me si apra una ferita.


Una storia vera

Non posso dimenticare il sabato sera in cui prestammo aiuto alla famiglia di un bimbo affetto da leucemia. Erano le ore 21,45 circa quando suonò la campana del 118, che ci chiedeva di portare soccorso alla famiglia di un paese vicino. Mi parve strano che facessero un colpo di telefono, perché le comunicazioni della centrale operativa all'epoca avvenivano via fax. Risposi io alla chiamata, in qualità di capo equipaggio. La situazione era molto critica, si trattava di portare un bimbo di cinque anni presso una clinica di Milano specializzata nella cura della leucemia infantile. Nel buio della sera non fu semplice individuare l'abitazione del paziente, in mezzo a un’area boschiva.

Il papà del bimbo ci venne incontro, guidandoci verso la casa. La clinica di Milano era stata allertata. Il problema era il dolore, che il piccolo non riusciva a governare. La madre ci disse che aveva già fatto la terapia antidolorifica, ma aspettammo un po’ di tempo, in modo che il piccolo si quietasse leggermente. Aiutata da mia moglie Wilma, lei stessa volontaria del soccorso e quella sera di turno, la mamma avvolse il bimbo in una coperta. Ad ogni gradino della scala, il bambino manifestava la sua sofferenza.

Il collega alla guida, nel sentire il pianto del piccolo paziente, si attaccò al volante dell'ambulanza e non lo lasciò nemmeno un attimo, come a cercare in quel gesto il coraggio e la forza di andare avanti senza scoppiare a piangere. Nel frattempo la mamma si era accomodata con il suo bimbo tra le braccia. Purtroppo la strada di campagna era abbastanza dissestata e questo rendeva tutto molto complicato...

Momenti strazianti. Sull’autostrada le cose migliorarono e, a sirene spiegate, con ovvia autorizzazione, giungemmo a Milano in clinica. Il personale del reparto era lì per noi, pronto ad accoglierci, per prendersi cura del piccolo e della sua mamma. Con grande sensibilità, rendendosi conto del disagio che traspariva sui nostri volti, ci chiesero se servisse, anche per noi, il supporto dello psicologo del reparto. Più tardi, oltre la mezzanotte, quando rientrammo in sede, fu necessario metabolizzare quel drammatico viaggio.


Tra dolore e riflessioni teoriche

Tra noi, durante la strada del ritorno, non riuscivamo a dire quasi una parola. In sede, però, fu importante incontrare i colleghi del turno di notte, per fare uscire – con il racconto di quella missione – tutto il nostro strazio. Quel bambino venne a mancare tre giorni dopo, io, mia moglie Wilma e Sergio, l'autista, partecipammo al suo funerale. Grande fu la commozione dei genitori vedendoci partecipi del loro dolore, la mamma chiese a Wilma di stare vicino a lei, quasi una sorta di materna condivisione di quel momento. Se mi fermo a pensare, mi accorgo di aver vissuto tanti momenti di difficoltà, dolore e condivisione a fianco di persone a me sconosciute. Ho vissuto in prima persona che cosa significhi farsi prossimo nel dolore. Proprio questa esperienza difficilmente esprimibile, fatta di emozioni compartecipate in un servizio che allevia la sofferenza, mi ha dato la forza di andare avanti, giorno dopo giorno, non soltanto nel volontariato. Tanti anni di volontariato accanto ai sofferenti mi hanno spesso portato a meditare su questo mistero della vita. Ad esempio, ho sempre con me le parole di don Carlo Gnocchi, il sacerdote fondatore dell’opera per i disabili motori che porta il suo nome. Condividere con pudore, in silenzio: la strada da seguire, nella mia esperienza, è quella indicata da don Gnocchi:


«Quando il dolore bussa alla porta della nostra vita (…) tocchiamo con mano l’impotenza delle parole umane. Un istintivo senso di pudore ci consiglia di stare in silenzio accanto a chi soffre, testimoniando la nostra solidarietà con presenza discreta e operosa».1


Anni fa ho trovato uno sviluppo a questa idea nelle parole di un vescovo che per anni è stato a capo della diocesi della mia città, Como. Così si esprimeva monsignor Alessandro Maggiolini in un libro che mi è capitato di trovare su una bancarella e, sfogliandolo, mi ha aiutato a capire meglio la missione del volontario del soccorso, specialmente quando si trova di fronte al dolore delle persone più fragili:


«E tuttavia non si può contemplare il dolore estaticamente, rimanere quasi all’esterno, come se si osservasse uno scenario (…) Si esige di entrare nella sventura: non certo per chiuderla, ma almeno per riuscire a discernerla: attorno a sé come una sfinge in cui ci si urta, e in sé, soprattutto come un enigma che avvolge quasi in una spira (…) Sarà poi il coraggio di sostenere l’esperienza senza (…) un urlo o in una dimensione, a dare lucidità per allargare, approfondire, consolidare l’indagine in un rincorrersi di interrogativi, ognuno dei quali sembra sospingere – ancora – all’origine. All’origine che forse si rivelerà sempre mistero. Il dolore può esser profanato quando lo si studia come un oggetto scientifico e non se ne capisce nulla: può anche risvegliare l’intelligenza, farla nascere ad una acuta e audace penetrazione che non s’arresta di fronte a nulla, nemmeno ai problemi più oscuri e abbaglianti».2


1Carlo Gnocchi, Il dolore innocente, Ancora, Milano, 1999, pag. 12.

2Alessandro Maggiolini, Pedagogia del dolore, Rusconi, Milano, 1981.


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L'autore



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Mario Antonio Clerici (1957) vive in provincia di Como, a Lurate Caccivio. Padre di quattro figli, da 45 anni opera come volontario nella locale Croce Rossa come volontario del soccorso. Dopo una carriera professionale nel settore tessile, dove ha ricoperto anche ruoli dirigenziali, Clerici ha scoperto la passione per la scrittura. Nel 2021 ha pubblicato "Un papà in cucina", nel 2022 "Fare famiglia. Il coraggio di essere genitori oggi", vincitore del Premio Internazionale Ovidio. Scrive di volontariato per le edizioni Shalom.


 
 
 

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