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Augustine's Turn on the Divine Trinity

An international event for celebrating philosopher and theologian Augustine from Hippo will take place November 13-14 in Pavia and Milan. The conference is organized by the National Committee, established by the Ministry of Culture to commemorate the transport of the body of Saint Augustine to Pavia in 723, ruling the king Liutprand, and in particular enjoys the patronage of the European Parliament.Since then the relics of the Holy Bishop have been kept in the city of Pavia. On the occasion, professor Alessandro Ghisalberti, a leading European metaphysician, specialist in Middle Ages History of Philosophy and a member of the Committee has authored a special text for Rekh Magazine.

Aurelius Augustinus (354-430 B.C.)


di Alessandro Ghisalberti *


Nel De Trinitate di sant’Agostino, in particolare nel libro IX, viene sviluppata una topologia della mente umana modellata sugli aspetti che egli stesso aveva individuato nella riflessione intorno al dogma cristiano della Trinità, ossia parla di una trinità peculiare dell’uomo: spirito (così i traduttori rendono il latino mens), conoscenza di sé (notitia), amore di sé (amor); tutti e tre sussistono nell’anima, e sono consustanziali, “sono di una stessa essenza”.

Quando divenne vescovo, Agostino si trovò di fronte all'obiezione sollevata dai suoi avversari (anche da avversari che stavano a metà strada tra la fede cattolica e il mondo intellettuale con cui Agostino voleva mantenere i legami) che il cristianesimo fosse una dottrina basata su un errore, un errore macroscopico o addirittura indice di profonda ignoranza, quello di usare il criterio della quantità, il tre, il numero tre che è quantitativo, in rapporto al mondo spirituale che le filosofie neoplatoniche avevano ampiamente sviluppato in un'ottica in cui il Vero, al suo massimo grado, non può che essere Uno.

Addirittura, parlavano di Dio come dell'Unità al di là dell'Essere o al di là dell'essenza (“epékeina tès ousìas”), dell'Uno come unità totalmente innominabile, totalmente indefinibile. Perciò introdurre il tre, come nel dogma cristiano, il numero tre che indica quantità nell'ordine del divino, significava retrocedere rispetto ai grandi passi che aveva fatto la filosofia greca ed ellenistica. Era un'obiezione di non facile conto per il suo tempo, con cui Agostino dovette confrontarsi a lungo. I filosofi dicevano: voi siete ridicoli sostenendo questa tesi e non siete degni di essere presi in considerazione dal punto di vista intellettuale, e questo era un problema serio, anteriore al problema della trinità psicologica. Agostino ebbe allora l'intuizione, che lo portò a sottolineare che non è l'introduzione della quantità come tale che interessa nel dogma della Trinità, ma che l'Unità propugnata dal cristianesimo e applicata alla divinità è talmente grande e talmente forte da poter assorbire in sé il Tre. L'intuizione di Agostino è stata di pensare l'unità di Dio, l'unità della sostanza divina, come talmente una e talmente forte da compatire in sé la trinità. Questa diventa quindi la chiave teoretica della lettura che egli propone nel De Trinitate e motiva il passaggio alla trinità psicologica.

Quando divenne vescovo, Agostino si trovò di fronte all'obiezione sollevata dai suoi avversari (anche da avversari che stavano a metà strada tra la fede cattolica e il mondo intellettuale con cui Agostino voleva mantenere i legami) che il cristianesimo fosse una dottrina basata su un errore, un errore macroscopico o addirittura indice di profonda ignoranza, quello di usare il criterio della quantità, il tre, il numero tre che è quantitativo, in rapporto al mondo spirituale che le filosofie neoplatoniche avevano ampiamente sviluppato in un'ottica in cui il Vero, al suo massimo grado, non può che essere Uno.

Contrariamente a ciò che a volte si scrive nei manuali, Agostino non è arrivato a spiegare la Trinità di Dio studiando la trinità dell'uomo, ma è invece interpretando con acume lo sviluppo di questa inviolabile unità nella dimensione divina trinitaria che è arrivato a riconoscerne un esempio non totalmente identico ma simile, quindi analogico, nell'uomo. Anche l'uomo che resta uno, in quanto soggetto, ha queste movenze di “mens”, “notitia” e “amor”, ha un movimento triadico che non infrange l'unità. Oppure è “memoria”, “intelletto”, “amore” (o “volontà”), e anche queste sono proprietà in progressione che si muovono con valenza trinitaria senza infrangere l'unità.

Dunque, Agostino non procede al modo dei pensatori di formazione aristotelica, che partono dal mondo sensibile per arrivare all'intellegibile, ma al contrario arriva a spiegare il mondo sensibile a partire dal mondo intelligibile, da buon seguace della filosofia neoplatonica. Allora anche il rapporto tra il Verbo divino e il verbo umano segue questa cadenza: il verbo umano risulta nella sua movenza originato da una scansione psicologica di tipo trinitario, esattamente come avviene nella produzione del Verbo inteso come seconda Persona della Trinità. Poiché il Padre genera il Verbo conoscendo se stesso, essendo il Padre “auto-logos” o perfetta auto-conoscenza, e questa perfetta auto-conoscenza si ipostatizza in un Figlio, Logos, Sofia del Padre, e tra il Padre e la sua Sofia o Sapienza si instaura un rapporto di perfetta corrispondenza, che è lo Spirito Santo o Amore.

Le analisi di Agostino trovavano dei precedenti in autori neoplatonici che avevano già fatto questo tipo di percorso andando a vedere come il rapporto tra “mens”, “notitia” e “amor” nel soggetto conoscente umano obbedisse a uno schema trinitario, che non infrangeva il principio dell'unità in senso neoplatonico, ma che stabiliva in qualche modo una dialettica trinitaria connessa con l'espansione dell'Uno. Schema che ritroviamo in Plotino, le cui triadi archetipiche sono: l'Uno, il Nous e l'Anima del mondo, anche qui sulla linea di “mens”, “notitia” e “amor”. Queste applicazioni erano quindi già state fatte da diversi scolari di Plotino (convergenti o divergenti da Plotino) e c'era stata l'elaborazione di una trinità psicologica puramente filosofica e non cristiana, di cui Agostino probabilmente venne a conoscenza, non sappiamo se attraverso testi o attraverso colloqui con persone. Perché Agostino era sicuramente uno di quei personaggi capaci di una molteplicità di relazioni, di cui non sappiamo ancora tutto. Il paragone è con Dante: se ci domandiamo quali sono le fonti di Dante, non riusciamo mai individuarle con certezza, ma sappiamo che ha avuto miriadi di fonti, conosciute in modo dettagliato e spesso diretto, fonti comunque veritiere perché quello che egli scrive vi corrisponde.



Veniamo a un altro aspetto coinvolto nel tema della struttura antropologica che per Agostino presiede alla conoscenza da parte dell’uomo: da dove viene la verità di un giudizio. È la questione dai manuali qualificata come dottrina dell’illuminazione, dell'illuminazione della mente o dell'anima, che secondo Agostino è matrice della conoscenza. La parola “illuminazione” non è presente in Agostino, ma è presente l'equivalente, quando parla di idee che hanno contenuto di rilevanza non riconducibile ai concetti che ci formiamo attraverso la conoscenza sensibile. Il problema è da dove vengano i contenuti che noi riteniamo di conoscere con certezza e che non possiamo, dal punto di vista della sua epistemologia, ricavare dal mondo sensibile.

Tra questi contenuti vi è una conoscenza certa, vera, stabile, quella dello spirito che conosce sé stesso, quando pensa sé come colui che sa di vivere, di ricordare, di comprendere e volere sé stesso. Questa autoconoscenza dello spirito è connessa con la verità immutabile, perché anche se lo spirito dubitasse di vivere, di conoscere e di ricordare, il dubbio stesso gli sarebbe presente. Questa conoscenza sarebbe una conoscenza vera e indubitabile, perché il dubitare è un atto vitale dello spirito (parafraso con queste parole quello che viene chiamato il cogito agostiniano).

Al guadagno dell’esistenza di una realtà spirituale, cioè totalmente immateriale, Agostino era arrivato con un percorso di esperienza personale. Nelle Confessioni ricorda infatti che finché non arrivò alla conversione, cioè sino agli anni 385- 386, oltre i trent'anni, e finché non lesse i testi neoplatonici, aveva ritenuto che lo spirituale fosse qualcosa di materiale rarefatto; noi diremmo oggi qualcosa di natura corpuscolare come la luce, che è trasparente e che (come si diceva allora dell'aria e della luce e del diafano) non ha colore e non ha peso, una sorta materia rarefatta, la cui idea si collegava all'etere o quinta essenza di Aristotele, una materia insomma che non è materia quantificabile o quantitativa. Leggendo i neoplatonici riuscì a capire che doveva pensare allo spirituale come qualcosa che sia aldilà di questo immaginario; quindi, qualcosa che non possieda nulla di materiale, né per quanto riguarda l'estensione né per quanto riguarda la possibilità di occupare spazio. Fatto questo guadagno, gli venne allora da chiedersi: se io conosco solo cose materiali, e lo spirituale è altra cosa e di genere “altro” rispetto al materiale, come è possibile che io abbia questo concetto?

Contrariamente a ciò che a volte si scrive nei manuali, Agostino non è arrivato a spiegare la Trinità di Dio studiando la trinità dell'uomo, ma è invece interpretando con acume lo sviluppo di questa inviolabile unità nella dimensione divina trinitaria che è arrivato a riconoscerne un esempio non totalmente identico ma simile, quindi analogico, nell'uomo.

C'è poi un altro collegamento descritto da Agostino, che aiuta comprendere come si arrivi alla verità interiore: l'uomo innatamente, noi diremmo in modo costitutivo, fin da quando comincia a ragionare, è capace di esprimere dei giudizi estetici di valore. “Estetici” non nel senso dell'estetica nostra, ma nel senso di giudizi che sono comparativi rispetto alle cose e ai valori che noi incontriamo anche nell'orizzonte sensibile (ecco perché “estetici”). Nell'esempio più classico che si può fare, noi riteniamo vero che l'albero sia migliore e più perfetto del sasso, e che il cavallo, vivente animale, sia più perfetto dell'albero, e riteniamo ancora che l'uomo sia più perfetto del cavallo. Si tratta di giudizi “estetici” di valore che noi pronunciamo con estrema sicurezza, sentendoci garantiti da un'evidenza interiore che ci abilita a dire che è così, e siamo certi che non possa non essere così. Allora Agostino si chiede: come possiamo formularli? Negli esempi dati, da dove viene all'uomo la possibilità di emettere giudizi di valore in una dimensione (il meglio è nell’ordine del bene) e in aree che non sono rapportabili a ciò che conosciamo attraverso i sensi? La risposta, dal suo punto di vista, è che ci deve essere un lume o una luce interiore depositata nell'anima da Colui che ha forgiato l'uomo. Agostino segue l'antropologia biblica dell'uomo dotato di un'anima, che andava bene anche ai neoplatonici, un'anima che è in qualche modo completa in sé stessa e che tuttavia, per un pregresso che la Bibbia racconta, è temporaneamente nella condizione di dover coesistere ad un corpo. Questa coesistenza è iniziata in un certo punto del tempo e finirà ad un certo punto col finire del tempo; dunque, l'anima, osserva Agostino, che è stata messa nella condizione di coesistere col corpo umano, è stata anche originata nella condizione di disporre di quelle conoscenze elementari, basilari, che non avrebbe potuto ricavare per altra via. Questa riflessione ci riporta al fondamento della dottrina dell'illuminazione, che è una forma di innatismo, ma come si vede un innatismo molto stemperato, non un innatismo violento. Non è l'innatismo di certe letture dell'età cartesiana, che semplificavano le cose affermando che nell’uomo ci sono idee chiare e distinte degli oggetti; per Agostino si hanno soltanto idee innate dello spirituale e della verità rapportata all'evidenza. Alla domanda circa la provenienza della verità di un giudizio, Agostino risponde infatti che la verità viene dalla capacità che l'uomo ha di pronunciare giudizi di valore, in base alla sua dotazione strutturale di soggetto conoscente e al rapporto tra questo soggetto conoscente e il mondo della conoscenza che incontra dentro di sé. Pertanto, l'uomo nel giudizio non crea la verità, non produce la verità, ma la scopre. Quindi il giudizio di verità è una scoperta (una “inventio”), un rintracciare la luce della verità. Come scrive Agostino nel De magistro: non si manda un figlio a scuola perché impari a conoscere quello che pensa il maestro, ma perché impari dal maestro a conoscere quello è depositato dentro di lui, le conoscenze che sono presenti dentro il suo spirito o mente. L'uomo si riconosce scopritore della verità, non creatore o produttore.

Agostino segue l'antropologia biblica dell'uomo dotato di un'anima, che andava bene anche ai neoplatonici, un'anima che è in qualche modo completa insé stessa e che tuttavia, per un pregresso che la Bibbia racconta, è temporaneamente nella condizione di dover coesistere ad un corpo...

Concludo queste riflessioni con le parole contenute in un passaggio dell’ultimo libro del De Trinitate, che sintetizzano i vari passaggi che abbiamo percorso :

« Inoltre, partendo dalla creatura, opera di Dio, ho cercato, per quanto ho potuto, di condurre coloro che chiedono ragione di tali cose, a contemplare con l’intelligenza, per quanto era loro possibile, i segreti di Dio per mezzo delle cose create e ho fatto particolarmente ricorso alla creatura ragionevole e intelligente, che è stata creata ad immagine di Dio, per far loro vedere, come in uno specchio, per quanto lo possono e, se lo possono, il Dio Trinità, nella nostra memoria, intelligenza e volontà. Chiunque, con una intuizione viva, vede che queste tre potenze, in virtù di una intenzione divina, costituiscono la struttura naturale del suo spirito; percepisce quale cosa grande sia per lo spirito il poter ricordare, vedere, desiderare la natura eterna ed immutabile, la ricorda con la memoria, la contempla con l’intelligenza, l’abbraccia con l’amore, certamente vi scopre l’immagine di quella suprema Trinità” (De Trinitate, XV, 20, 39).


Filosofo e metafisico /A Philosopher and a Metaphysician


Alessandro Ghisalberti, già professore ordinario di Filosofia teoretica e di Storia della filosofia medievale nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica di Milano, membro del Comitato scientifico del COMITATO NAZIONALE PER LE CELEBRAZIONI DEL XIII CENTENARIO DELLA TRASLAZIONE DELLE RELIQUIE DI SANT’AGOSTINO A PAVIA,

ha diretto la «Rivista di Filosofia neo- Scolastica» (dal 2000 al 2011) e ha pubblicato numerosi studi storicoteoretici relativi ai maggiori maestri della Scolastica e della Neoscolastica,

con particolare attenzione all’incontro tra il pensiero filosofico e i grandi temi della teologia e della mistica cristiana. È membro effettivo dell’Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere.





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