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Bread & Cinema, What a Taste

Italian movies presented at the Festival de Cannes: are they good, bad or masterpieces? Anna Savini picks some cooking metaphors up for her assessment. From her point of view a movie director can be equated whith a chef de cuisine: his / her very capacity always lies in the ability to mix all the ingredients together. No doubt that Anna has a special taste for the mind's food, also when she writes about cinema.

Sean Penn e Tye Sheridan in "Black Flies" di Todd Field


di Anna Savini

Scrittrice e giornalista, critico cinematografico di Rekh Magazine


I film italiani sono come la Nutella. Non puoi dire che non è buona, al massimo puoi dire che a te non piace, ma devi stare attento perché se piace a tutti gli altri deve essere buona per forza.

E magari lo è anche, ma se preferisci più latte e meno cacao dei Kinder, più azione e più ritmo dei film americani, non puoi farci niente. I film italiani continueranno a lasciarti perplesso in partenza e difficilmente ti faranno cambiare idea una volta visti.

Quindi, per esempio, continuerai a essere l'unica che non ha guardato neanche una puntata di "Mare Fuori", che non è riuscita a finire "La grande bellezza", che non sa dire tre titoli di Pupi Avati, che di Gabriele Mucicno ha amato solo "Sette anime" e "La ricerca della felicità" perchè c'era Will Smith e che di "E' stato la mano di Dio" di Sorrentino ricorda solo il fisico di Luisa Ranieri, perchè un fisico cosi lo vorrebbero tutti.

Ovvio che il ragionamento vale per i film italiani moderni, quelli dopo i Sordi, dopo i Celentano e i Pozzetto, per intenderci, e però ci porta a bomba ai tre film italiani presentati in anteprima a Cannes e in lista per la Palma d'Oro. "Rapito", di Marco Bellocchio, che è molto emozionante, "Il sol dell'avvenire" di Nanni Moretti che è molto Moretti e "La Chimera" di Alice Rohrwacher che è molto divertente e con ben 17 ragazzine attrici. Quindi sono film italiani, quindi sono belli, quindi piaceranno, quindi potrebbero cambiare il ragionamento sui film italiani, ma non lo cambiano. Perchè il pregiudizio è forte, duro a morire come Bruce Willis in "Die hard". Il pregiudizio ti frega e ti piega e ti condiziona sempre, anche se è lo stesso che ti aveva fatto ritenere che un film come "The conselor" fosse meravigliosom visto che nel cast c'erano Javier Bardem, Penelope Cruz. Cameron Diaz e Brad Pitt e invece non era bello per niente. Come non lo era "Ad Astra" in cui a Brad Pitt era stata data la parte del'astronauta sfigato e non gli veniva bene. "Lo volevo cosi, perdente", ha detto il regista, ma gli spettatori lo volevano cosà, vincente, come Brad Pitt.

Il regista è come un cuoco. Può avere a disposizione gli elementi migliori del mondo, ma se li sbatte in padella a caso, rovina tutto, come quando fanno i pasti per gli aerei e affogano favolose fette di filetto in sedici tipi di salse che rendono la carne irriconoscibile e defunta.

E' anche vero che se non ti aspetti niente puoi restare sorpreso dal film in questione ed esclamare "cavoli per essere un film italiano era bellissimo". E lo stesso vale a rovescio per i film americani, come "Tar"di Todd Field lo stesso regista di "Little Children" (è stato anche attore in "Eyes Wide Shut") che per "Tar" però ha deciso di lasciare galleggiare tutti gli ingredienti nel pentolone, tipo verdure lessate e servirle cosi.

Questi comunque sono tutti film ad alto budget, a Cannes ci sono anche produzioni alternative a basso costo. Ci sono lavori che arrivano da nazioni come il Brasile, l'Algeria, il Marocco, l'Argentina, la Polonia, a volte non ci sono neppure i sottotitoli. E qui bisogna essere degli intenditori, o almeno avere pazienza perchè non sono tutti facili da seguire. A dir la verità anche titoli attesissimi come "The zone of interest" non sono facilissimi da seguire.

Però quando ti mandano l'email con la richiesta di feedback non è che puoi dire: "Guarda mi faceva veramente schifo ed era cosi lento che sono scappato al primo minuto". Magari dici solo "interessante, forse un po' lungo", che è poi è la verità, detta in maniera educata visto che se fosse stato bellissimo, avresti detto "era bellissimo issimo issimo issimo". Il che dovrebbe valere sulla carta per "Asteroid City" di Wes Anderson, che già solo per la fotografia, la scenografia, la simmetria, i colori, la follia, i dialoghi si merita tutto, anche quando magari non è il suo film più riuscito. Ma è un Wes Anderson, quindi se sei estimatore del genere devi vederlo per forza, e parti dal presupposto che sarà epico.


I Black Flies sono i paramedici del 911, i nostri volontari per capirci, che passano le notti in attesa delle chiamate. Solo che in America non ti chiamano per il vecchietto che sta male, ti chiamano per ferite d'arma da fuoco, giovani che rischiano di morire dissanguati, barboni impazziti, tossici in overdose, morti da settimane mangiati dai vermi.

Il che vale per "Black Flies", che è il classico, meraviglioso, drammatico, ambientato a New York, tutto sirene delle ambulanze e spari, tutto droga e feriti, tutti buoni e cattivi, tutto sesso e crisi di coscienza e di famiglia, film americano. Ti dà esattamente quello che ti aspetti, pathos, ritmo, primi piani stretti.

I Black Flies sono i paramedici del 911, i nostri volontari per capirci, che passano le notti in attesa delle chiamate. Solo che in America non ti chiamano per il vecchietto che sta male, ti chiamano per ferite d'arma da fuoco, giovani che rischiano di morire dissanguati, barboni impazziti, tossici in overdose, morti da settimane mangiati dai vermi.

E i Black Flies che nel film sono Sean Penn (veterano), Tye Sheridan (alle prime armi), Michael Pitt (il più spregiudicato) e Mike Tyson (comandante) devono fare i conti con la realtà. Ma soprattutto devono fare i conti con una domanda. Quali di queste persone vale la pena salvare? E' brutto da dire, ma nel film loro possono decidere se ritardare un defibrillatore, se evitare una tracheotomia, se lasciare che il figlio neonato cianotico di una tossica muoia. Solo che la mamma non è una tossica, si era ripulita. Solo che non spetta ai Black flies decidere chi deve vivere e chi deve morire. Solo che scoprono che Sean Penn aveva deciso per la morte della bambina, e cosi viene allontanato dal lavoro, il lavoro che era anche la sua vita.

Questo è il classico film americano. Come dire che se prendi la cioccolata a occhi chiusi è Nutella, non crema spalmabile di un'altra marca che magari sarà anche più buona, ma non c'entra niente con la Nutella.

Sta di fatto che tra i film italiani e i film americani ci sono i film francesi e qui si apre un mondo. Primo perchè i francesi sono maestri nel mettere attori che sembrano pescati a caso per strada talmente sono anonimi, tolta Brigitte Bardot, Delon, Bemondo, Depardieu e Vincent Cassell ovviamente. E poi perché passano dalla commedia ai film impegnati con una facilità estrema. Sta di fatto che chi ama il cinema non può pensare di sedersi in sala scartando uno dei tre generi conditi con i film spagnoli ovviamente che sono come le salse piccanti.

Perché alla fine il cinema è come il pane, sta bene con tutto. E se decidi di non mangiarlo ti mancherà sempre.

© Rekh Magazine


Narratrice, intellettuale. Di professione reporter



Anna Savini, giornalista, ha un occhio particolare per le storie, la cronaca e l'attualità. Titolare di una rubrica di Bon ton insieme a Vera Fisogni, lavora al quotidiano La Provincia. Ha pubblicato per Mondadori, "Buone ragioni per restare in vita", opera celebrata per aver raccontato in maniera ironica le cure per una malattia che resta solo sullo sfondo, mentre l'amore e la moda sono i veri protagonisti. Ha lavorato al Giornale, vanta collaborazioni con Il Corriere della sera, Grazia, Vanity Fair, Rai 2, Radio 24, Italia Uno, Gioia, Di Più, Tess, Mag. Grande appassionata di cinema, moda e rapper che permeano il suo secondo libro "Sclera Ebbasta" ha pronta una saga che pubblicherà quando sarà il momento. Nel frattempo racconta quel che pensa della vita sul suo profilo Instragram annasaviniebbasta.

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