The very treasure of Bagnoregio (Civita di Bagnoregio), a lovely and fragile village in the province of Viterbo (Central Italy) is not primarily its luxuriant medieval architecture located on the top of a hill, but the intellectual heritage of philosopher and theologian Bonaventura (1217-1274), a Franciscan friar and a professor at the University of Paris, then a saint of the Catholic Church. His thought is deeply investigated by Italian metaphysician professor Alessandro Ghisalberti, a leading scholar of the conference to be held in Bagnoregio from 26 to 28 May. Here is the paper that will be presented on that occasion, as a special preview for Rekh Magazine readers.
di Alessandro Ghisalberti
Spesso si parla oggi di carattere “analitico” in riferimento alla metodologia adottata nelle opere degli Autori della grande Scolastica dei secoli XIII e XIV, per la stupefacente capacità di indagare sino al massimo il significato dei termini, su basi semantiche e grammaticali, prima ancora che sulle declinazioni nell’area della logica. Lo attestano i numerosi Commentari per modo di “Quaestiones” al Libro delle Sentenze di Pier Lombardo, come pure alle grandi opere di Aristotele (Fisica, Metafisica, Etica, Il cielo e il mondo), in cui la sottigliezza dell’indagine per “questioni”, ossia per l’estrazione dei semantemi più vari, ricavabili dallo scandaglio logico-grammaticale, si protrae quasi all’inverosimile. San Bonaventura risulta essere un antesignano di questo processo analitico, allorché, con un intento apologetico, sviluppa in modo stringente la riconduzione (reductio) delle varie arti/discipline alla teologia, secondo quanto andiamo a illustrare, anche con brani antologici dell’opera.
Il significato di reductio nell’opera bonaventuriana non è né facilmente circoscrivibile, né univoco; la “riduzione” o “riconduzione” esprime anzitutto la tendenza della metafisica a ricondurre le cause particolari al loro fondamento ultimo: la “riduzione delle arti”, ossia delle diverse discipline scientifiche, conosce un primo livello, nel quale ogni singola scienza va posta, secondo un preciso ordine, per essere ricondotta al livello superiore. Segue l’istanza superiore, che ricostruisce la presenza dell’impronta del creatore nelle cose conosciute dalle scienze, avvalendosi delle conoscenze degli archetipi presenti nella mente creatrice e donati attraverso la rivelazione.
Tutte le arti vanno “ricondotte” alla teologia nel senso che, passandone in rassegna i fondamenti epistemologici, si può vedere come il dinamismo specifico di ogni disciplina contenga le basi, le premesse necessarie, per attivare un rinvio ad una conoscenza superiore, che è quella delle idee di Dio; ad essa l’uomo partecipa originariamente attraverso il radicamento nel suo intelletto dell’illuminazione divina, cui si aggiunge il potenziamento offerto dalla Sacra Scrittura, che è manifestazione della luce e del pensiero di Dio incarnatosi nel linguaggio scritto della rivelazione biblica. E’ dunque manifesto anzitutto che la “reductio” non è il momento iniziale della struttura fondativa della costituzione della realtà e dei saperi che la esprimono, conoscono o interpretano: la “reductio” è il compito che si impone allo speculativo, perché questi entra in connessione con un sapere anteriore circa la manifestatività della totalità, sia nella formula dell’essere universale della realtà, sia nella forma della illuminazione costituita dalla prerogativa di Dio di essere “pater luminum”, di essere cioè descrivibile come la luce immateriale o spirituale creatrice e diffusiva per sovrabbondanza di natura nelle molteplici luci degli esseri. L’originario è l’Uno-Padre (l’origine), che, in quanto connotabile come luce sostanziale include il mondo archetipico delle idee e diventa l’intrinseca congiunzione delle proprietà detenute dal semantema essere con il semantema luce, ponendosi come costituivo inizio assoluto di ogni attività emanativa o creativa, esemplaristica o illuminativa, risolutiva o “riduttiva”.
Bonaventura from Bagnoregio was a leading philosopher of the 13rd Century who held that philosophy opens the mind to at least three different routes humans can take on their journey to God. His thought is at the heart of a conference to be held in Bagnoregio, May 26-28
Imprescindibile dunque la lettura della istanza triadica del neoplatonismo, che ha la movenza da ciò che si schiude originariamente, si espande nell’universo e detiene l’istanza del ritorno, di cui la “reductio” è il paradigma noetico più forte, mentre l’Itinerarium mentis in Deum è quello più consono all’intelletto umano per come opera nella condizione di viator: integrato con le categorie aristoteliche, la lettura dell’intelletto individua maggiore facilità nella risalita dalle orme, vestigia, immagini sensibili alle realtà intelligibili e metaintelligibili. La dialettica triadica del neoplatonismo costituisce pertanto l’imprescindibile radicamento metafisico e teologico della “reductio”, su cui si fonda la necessità/possibilità di ricondurre tutti i saperi al livello fondativo. Questa dialettica oltre che premessa, è insieme la molla del cammino che si compie dal basso, perchè il reditus che mobilita la risalita dalle singole arti al loro lume originario è una istanza succedanea all’exitus. Questo processo non importa costrizione, non induce violenza repressiva, non intende comprimere; vuole piuttosto rintracciare un percorso in base al quale sono individuati gli elementi per passare da un livello primario ad un livello superiore, dove Bonaventura mostra che ogni grado di sapere contiene al proprio interno delle istanze che non possono essere pienamente comprese se non si “riconducono” al sapere in sé, quello della sapienza-luce prima che si effonde da Dio e dal Verbo creatore e rivelatore. Recepiamo l’importante acquisizione della storiografia più recente, secondo cui Bonaventura non assume la luce come principio metafisico della realtà, ossia non è corretto parlare del suo pensiero come “metafisica della luce”. Per Bonaventura a luce è sempre fisica, e quando applica il termine luce a Dio (o all’essere), o parla di “lumi” come tramiti del divino nel cosmo, il Dottore Serafico precisa che si fa sempre un uso metaforico del termine luce: la luce fisica e quella divina sono realtà di livello completamente diverso (Bonaventura non riprende la teoria della luce di Grossatesta): “Ad illud quod obicitur, quod lux principalius convenit naturae spirituali, dicendum quod verum est quantum ad proprietatem vocabuli, non est tamen verum quantum ad usum communem. Nominata enim luce, nisi determinetur per antecedentia et subsequentia, lucem intelligimus corporalem, per quam tamen perducimur ad intelligendum etiam spiritualem, quia cognitio nostra incipit a sensu” (San Bonaventura, In Sent. II, dist. XIII, art. , q. 1, ad 3). Espressioni come luce divina, illuminazione, lumi spirituali sono puramente metaforiche, originate dal fatto che per l’uomo, nell’attuale condizione, la luce è un veicolo imprescindibile di conoscenza (Cfr. V. C. Bigi, La dottrina della luce in San Bonaventura, riedito in Id., Scritti francescani, Edizioni Biblioteca Francescana, Milano 2017, pp. 86-108)
BONAVENTURA DA BAGNOREGIO
De reductione artium ad theologiam, nn. 1-7
Proponiamo la lettura dei primi 7 paragrafi (su 26 totali) della Riconduzione delle arti alla teologia di San Bonaventura (1217-1274), al secolo Giovanni Fidanza, francescano, nella traduzione italiana di Silvana Martignoni, tratta dal volume: Itinerario della mente in Dio. Riconduzione delle arti alla teologia, tr. it. di Silvana Martignoni e Orlando Todisco, Città Nuova, Roma
L’opuscolo, datato quasi all’unanimità dagli studiosi tra il 1255 e il 1257, difende la tesi secondo cui tutte le conoscenze sono originate da una sola luce fontale, Dio stesso, e a loro volta sono ordinate alla conoscenza della Scrittura. Ogni conoscenza è un lume che illumina colui che conosce riguardo a quelle forme che ne sono l’oggetto. Si parte da Dio come fonte di luce dalla quale hanno origine tutte le altre luci, cioè tutte le conoscenze umane, e si prosegue distinguendole l’una dall’altra in base al loro oggetto. San Bonaventura ne annovera quattro, a loro volta ricche di suddivisioni, in ordine di importanza crescente: l’arte meccanica (che illumina riguardo alle forme prodotte dall’uomo), la conoscenza sensibile (sulle forme naturali), la conoscenza filosofica (sulle verità intelligibili), la Sacra Scrittura (sulla verità che salva).
1.Ogni cosa eccellente e ogni dono perfetto vengono dall’alto, perché discendono dal Padre della luce [Gc 1,17], scrive Giacomo nel primo capitolo della sua Lettera. Queste parole si riferiscono alla fonte di ogni illuminazione e, nello stesso tempo, fanno capire che da quella sorgente di luce si diffondono copiosamente molteplici luci. Anche se, poi, ogni illuminazione della conoscenza è interiore, possiamo tuttavia ragionevolmente proporre una distinzione, dicendo che c’è una luce esterna, quella cioè dell’arte meccanica; una luce inferiore, cioè quella della conoscenza sensibile; una luce interiore, cioè quella della conoscenza filosofica; una luce superiore, cioè quella della grazia e della Sacra Scrittura. La prima ci illumina circa le forme prodotte dall’uomo, la seconda riguardo a quelle naturali, la terza sulla verità dell’intelletto, la quarta ed ultima riguardo alla verità salvifica.
2. La prima luce, dunque, che illumina riguardo alle forme prodotte dall’uomo, che sono come a noi esterne e inventate per supplire alle manchevolezze del corpo, è detta luce dell’arte meccanica [1]. Essendo questa, in qualche modo, ancella e lontana dalla conoscenza filosofica, si può, a ragione, definire esterna. Questa luce è di sette specie in relazione alle sette arti meccaniche che Ugo fissa nel Didascalicon; esse sono: il lanificio, l’armatura, l’agricoltura, la caccia, la navigazione, la medicina, e l’arte dei giochi e degli spettacoli [2]. – L’idoneità della classificazione si può spiegare in questo modo: ogni arte meccanica è finalizzata a dare o un sollievo o un vantaggio, vale a dire o a liberare dalla pena o dal bisogno; o, ancora, a recare giovamento o diletto, secondo quanto afferma Orazio:
«I poeti vogliono giovare o divertire». E anche: «Ottiene il consenso di tutti chi unisce l’utile al dolce» [3].
Se l’arte ha per scopo il sollievo e il diletto si hanno gli spettacoli che costituiscono l’arte del divertimento, la quale comprende ogni tipo di divertimento: canti, musica strumentale, recitazione, pantomime. – Se invece è finalizzata al vantaggio o all’utilità dell’uomo in relazione ai suoi bisogni esterni, ciò può riguardare il coprirlo, il nutrirlo o il procurargli entrambe le cose. – Se si tratta di coprirlo, si può usare materia morbida e leggera, e allora si ha l’arte della lana; o materia dura e solida, e si ha l’arte della costruzione o arte fabbrile, che comprende la fabbricazione di ogni strumento costruito in ferro o in qualsiasi altro metallo o in pietra o in legno.
Il giovamento del cibo, inoltre, può essere duplice dal momento che ci nutriamo o di vegetali o di animali. Dei primi si occupa l’agricoltura, dei secondi la caccia. – In altre parole, se pensiamo al giovamento del cibo, questo può realizzarsi in maniera duplice: o producendo e moltiplicando gli alimenti, e allora si ha l’agricoltura; o preparandoli in molteplici modi, e allora si ha la caccia, che comprende ogni varietà di preparazione di cibi, bevande, leccornie, il che è compito di pasticceri, cuochi, osti. Si usa, per tutto questo, il termine che ne designa una sola parte, e ciò per la sua preminenza e nobiltà.
Se poi ci si riferisce a quanto può aiutare l’uno e l’altro, ciò può consistere o nel provvedere a ciò che manca, ed ecco la navigazione, che comprende ogni commercio di prodotti che servono a coprire o a nutrire; oppure nel rimuovere un impedimento o un danno, ed ecco la medicina, che consiste sia nella preparazione di elettuari, pozioni, unguenti, sia nella cura di ferite, sia nell’amputazione di membra, cosa, quest’ultima, che spetta alla chirurgia. – L’arte dello spettacolo è unica. E così è chiaro come la classificazione sia completa.
3. La seconda luce, che ci permette di apprendere le forme naturali, è quella della conoscenza sensibile. A ragione è detta inferiore, perché la conoscenza sensibile comincia da ciò che è inferiore e si realizza con l’aiuto della luce corporea. Questa luce si divide in cinque parti in corrispondenza con i cinque sensi. – Che il numero di questi sia completo Agostino lo stabilisce così nel terzo libro del commento sulla Genesi [4], sulla base della natura della luce degli elementi: la luce, ossia il lume che ci permette di distinguere le cose corporee, o è nella perfezione delle sue proprietà e con una certa quale purezza, ed allora è il senso della vista; o si mescola all’aria, ed è l’udito; o al vapore, ed allora è l’olfatto; o al liquido, ed è il gusto; o alla grossezza della terra, ed è il tatto. Infatti, il fluido sensibile possiede la natura della luce, per cui agisce sui nervi, la cui natura è luminosa e trasparente, e cresce in questi cinque sensi secondo la sua maggiore o minore purezza. Pertanto, dal momento che nel mondo esistono cinque corpi semplici, e cioè i quattro elementi e la quinta essenza, l’uomo è dotato di cinque sensi, ad essi corrispondenti, finalizzati alla percezione di tutte le forme corporee, poiché non si dà alcuna conoscenza se non in virtù di una qualche somiglianza o convenienza fra l’organo e il suo oggetto, proprio in quanto il senso è una natura ben definita. – Vi è un altro modo per capire la completezza del numero dei sensi, ma Agostino approva questo sopra esposto, e – ci sembra – a ragione, dal momento che a realizzare questa completezza concorre simultaneamente tutto quanto corrisponde da parte dell’organo di senso, del mezzo e dell’oggetto.
4. La terza luce, che ci illumina per farci penetrare le verità intelligibili, è quella della conoscenza filosofica; essa è detta interiore, perché ricerca le cause interiori e nascoste, servendosi dei principi delle scienze e della verità naturale insiti nell’uomo per natura. Questa luce si divide in tre parti: razionale, naturale e morale [5]. - L’esattezza di questa tripartizione si può comprendere in questo modo: vi è una verità dei discorsi, una verità delle cose e una verità dei comportamenti. La parte razionale considera la verità dei discorsi, quella naturale la verità delle cose, quella morale la verità dei comportamenti. – In altri termini: come nel sommo Dio si deve considerare la causa efficiente, la causa formale o esemplare, e quella finale, poiché egli «è causa dell’esistere, ragione dell’intendere, norma del vivere» [6], così accade nell’illuminazione della filosofia. Essa, infatti, illumina per farci conoscere le cause dell’essere, in quanto fisica; le ragioni dell’intendere, in quanto logica; e la norma del vivere, in quanto filosofia morale o pratica. – Vi è, ancora, un terzo modo per dividere: tenendo conto che la luce della conoscenza filosofica illumina la capacità stessa intellettiva. Questo, infatti, può avvenire in tre modi: o in quanto essa guida la potenza motiva, e si ha la filosofia morale; o in quanto guida se stessa, e si ha la filosofia naturale; o in quanto guida la potenza interpretativa, e si ha la filosofia del discorso, in modo che l’uomo sia illuminato, rispettivamente, riguardo alla verità della vita, della conoscenza e della dottrina.
Inoltre, dal momento che nel discorso vi sono tre modi per esprimere ciò che ognuno ha in sé, vale a dire o per far conoscere il concetto della propria mente, o per stimolare gli altri ad accettarlo il più possibile, o per indurre all’amore o all’odio, così la filosofia del discorso, o razionale, si divide in: grammatica, logica e retorica. La prima serve ad esprimere, la seconda ad insegnare, la terza a muovere gli animi. La prima riguarda la ragione come capacità di apprendere; la seconda, di giudicare; la terza, di muovere l’animo. E poiché la ragione apprende grazie ad un discorso corretto, giudica grazie a quello vero, muove l’animo grazie ad un discorso elegante; ne deriva che questa triplice scienza tiene in considerazione, nel discorso, queste tre proprietà.
Inoltre, siccome nel giudizio il nostro intelletto deve essere guidato secondo le ragioni formali, e queste possono essere considerate o in rapporto alla materia, e in tal caso sono dette ragioni formali, o in rapporto all’anima, e allora si dicono intellettuali, o in relazione alla sapienza divina e allora si dicono ideali, ne segue che la filosofia naturale si divide in fisica propriamente detta, matematica e metafisica. La fisica considera la generazione e la corruzione delle cose secondo le loro proprietà naturali e le ragioni seminali. La matematica considera le forme suscettibili di astrazione secondo le forme intelligibili. La metafisica riguarda la conoscenza di tutti gli enti che essa riconduce all’unico primo principio dal quale sono usciti secondo le ragioni ideali, ossia a Dio quale principio, fine, modello, ancorché fra i metafisici, riguardo a queste ragioni ideali, siano nate non poche discussioni.
Infine, ciò che regola la potenza motiva deve essere considerato da tre punti di vista, cioè rispetto alla vita individuale, alla famiglia e alla moltitudine delle persone governate; pertanto, la filosofia morale si divide in tre parti: monastica, economica, politica, le quali si distinguono secondo i tre modi anzidetti, come indicano gli stessi termini [7].
5. Il quarto lume che illumina riguardo alla verità che salva è quello della Sacra Scrittura. Esso è detto superiore perché conduce alle realtà più elevate, rendendo manifeste le verità che oltrepassano la ragione, e anche perché non è frutto di una nostra scoperta, ma ci viene rivelato discendendo dal Padre della luce [Gc 1, 17]. Questo lume è uno quanto al senso letterale ma triplice quanto al senso mistico e spirituale. Infatti, in tutti i libri della Sacra Scrittura, oltre al senso letterale, espresso dalle parole stesse, si può ritrovare un triplice senso spirituale, e precisamente: un senso allegorico, che ci insegna ciò che dobbiamo credere della Divinità e dell’umanità; un senso morale che ci insegna come dobbiamo vivere; un senso anagogico, che ci insegna in che modo dobbiamo aderire a Dio. Pertanto, tutta la Sacra Scrittura ci dà questi tre insegnamenti: l’eterna generazione e l’incarnazione di Cristo, la regola del vivere e l’unione di Dio e dell’anima. Il primo insegnamento riguarda la fede, il secondo il comportamento, il terzo il fine di entrambi. Al primo devono dedicarsi con faticoso sforzo i dottori, al secondo i predicatori, al terzo i contemplativi. Agostino insegna soprattutto il primo, Gregorio il secondo, Dionigi il terzo. – Anselmo segue Agostino, Bernardo segue Gregorio, Riccardo segue Dionigi; poiché Anselmo è maestro nell’argomentazione, Bernardo nella predicazione, Riccardo nella contemplazione. Ugo poi eccelle in tutte queste cose.
6. Da quanto si è detto risulta che, quantunque ad una prima suddivisione la luce che scende dall’alto sia quadruplice, tuttavia le sue differenziazioni sono sei, e precisamente: la luce della SacraScrittura, la luce della conoscenza sensibile, la luce dell’arte meccanica, la luce della filosofia razionale, quella della filosofia naturale e quella della filosofia morale. In questa vita, perciò, sono presenti sei illuminazioni; ma esse hanno il loro crepuscolo perché ogni scienza sarà distrutta [1 Cor 13, 8], e, per questo, ad esse succederà il settimo giorno, quello del riposo che non conosce crepuscolo, vale a dire l’illuminazione della gloria.
7. Molto opportunamente, pertanto, queste sei illuminazioni si possono ricondurre alle sei formazioni, ovvero illuminazioni, con cui è stato creato il mondo, in modo che la conoscenza della Sacra Scrittura corrisponda alla prima opera di formazione, cioè alla luce; e così di seguito secondo l’ordine esposto. – E come tutte avevano origine da una sola luce, così tutte queste conoscenze sono ordinate alla conoscenza della Sacra Scrittura, in essa sono contenute, in essa trovano il loro compimento e mediante essa si ordinano all’eterna illuminazione. Ne segue che ogni nostra conoscenza deve avere il proprio punto finale nella conoscenza della Sacra Scrittura, specialmente nel suo senso anagogico, per mezzo del quale l’illuminazione si fa risalire a Dio, dal quale ha avuto origine. E, perciò, qui il cerchio si chiude, si completa il numero sei e, per questo, trova il suo punto fermo.
© Rekh Magazine
Filosofo e metafisico /A Philosopher and a Metaphysician
Alessandro Ghisalberti, già professore ordinario di Filosofia teoretica e di Storia della filosofia medievale nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica di Milano, ha diretto la «Rivista di Filosofia neo- Scolastica» (dal 2000 al 2011) e ha pubblicato numerosi studi storicoteoretici relativi ai maggiori maestri della Scolastica e della Neoscolastica,
con particolare attenzione all’incontro tra il pensiero filosofico e i grandi temi della teologia e della mistica cristiana. È membro effettivo dell’Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere.
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