The mystery of human fragility can be read through the lenses of illness, as Manzoni and Camus did in their masterpieces "The Bethroted" and "The Plague": Italian sociologist Gianfranco Brevetto, editor in chief of Exagere magazine, discusses the topic.
Di Gianfranco Brevetto
C’è un famosissimo racconto di Tolstoj, La morte di Ivan Il’ič, nel quale il protagonista, un magistrato, scopre di avere una malattia mortale a seguito di una banale caduta in casa. I colleghi magistrati ostili cominciano, allora, a interrogarsi su chi debba succedergli nel suo posto. Ci troviamo, in questo scritto, di fronte all’emergere di quella borghesia europea, imprenditoriale e statale, che oramai non s’interrogava più sull’esistenza ma sulla propria posizione sociale, con i conseguenti fariseismi tipici dei nuovi venuti e mai arrivati.
Invece, Ivan Il’ič, di fronte alla morte, inizia a fare una serie di ragionamenti riflessioni che riguardano l’inutilità del modo con cui aveva fin a quel momento vissuto e che ora deve lasciare, forse senza alcun rimpianto.
Il protagonista si trova, quindi, a causa di un morbo, solo con il suo corpo.
Il corpo si rende ora presente perché malato. Prima, in salute, lo stesso gli appariva assente. L’evidenza delle membra, ineluttabilità delle morte, generano un duplice movimento in Ivan Il’ič, da una parte, distanziamento dall’ambiente sociale e dalla famiglia e, dall’altro, un lento ripiegamento verso la ricerca di un perché a quanto gli sta accadendo.
Ho ascoltato, durante i numerosi dibattiti televisivi in onda nei momenti più bui della pandemia, autorevoli commentatori fare riferimenti letterari spesso infarciti di luoghi comuni e di reminiscenze liceali. Due per tutti, Manzoni e Camus.
Nell'illustrazione, la famosa scena della madre di Lucia che affida la figlia morta ai monatti
Agli inizi del 2020, il giornale La Repubblica, pubblicava un’intervista fatta all’anestesista di 38 anni che, per prima all’ospedale di Codogno, avrebbe ipotizzato un’infezione da coronavirus nel paziente 1.
Il giornalista le chiede: perché ha intuito che la verità si nascondeva nell’assurdo? La risposta della dottoressa si chiude con questa frase: per esclusione ho concluso che, se il noto falliva, non mi restava che entrare nell’ignoto. Il coronavirus si era nascosto proprio qui.
Da quel momento, varcando l’ignoto, il virus si è palesato, un nemico a noi invisibile, spesso asintomatico, che viene da lontano, contro il quale non vi sono ancora cure certe e verso il quale , per il momento, sono disponibili solo vaccini e azioni di contenimento, di rarefazione della presenza umana negli spazi comuni.
Si sono regolamentati comportamenti considerati prima irrilevanti, appartenenti alla sfera privata o affettiva. L’abbraccio è stato sconsigliato per decreto, si sono disposti l’auto isolamento, la quarantena.
Ho ascoltato, durante i numerosi dibattiti televisivi in onda nei momenti più bui della pandemia, autorevoli commentatori fare riferimenti letterari spesso infarciti di luoghi comuni e di reminiscenze liceali. Due per tutti, Manzoni e Camus.
Dovrebbe essere sufficientemente chiaro che Manzoni aveva in mente un romanzo storico. La sua peste non viene dal nulla ma è portata dai lanzichenecchi. Manzoni è molto attento alle condizioni di vita, alle pratiche igieniche, alle credenze, alle dicerie. I Promessi Sposi è centrato su un’analisi storica e sociale approfondita.
Il sentimento che prevale, da parte degli umili manzoniani, è quello dell’accettazione, sullo sfondo del disegno della Provvidenza divina. Come sappiamo vi è, alla base di questo approccio, un problema teologico serio, posto al Manzoni dai suoi trascorsi giansenisti: l’uomo può salvarsi da solo o vi è la necessità di un intervento divino? La salvezza diventa allora possibile mediante la Grazia che, provvidenzialmente, si può concretizzare, nell’intricata vicenda dei due amanti, anche attraverso un’epidemia. Una serie di segni talmente forti da muovere la storia collettiva e individuale, talmente potenti da portare alla conversione il male per eccellenza, l’Innominato.
Il giornalista le chiede: perché ha intuito che la verità si nascondeva nell’assurdo? La risposta della dottoressa si chiude con questa frase: per esclusione ho concluso che, se il noto falliva, non mi restava che entrare nell’ignoto.
Il senza nome, l’ineffabile a fronte di un Dio conosciuto e invocato. Capace di rendere libera Lucia che, nel disperato tentativo di fare da sola, arriva a costringersi in voto destinato a infrangersi, a sua volta, contro la Misericordia divina. La divinità lega, scioglie, interviene nella storia (atterra e suscita, affanna e consola, dirà il nostro autore in un altro componimento). Se non c’è la predestinazione, come sosteneva il giansenismo ormai lontano a Manzoni, Dio interviene direttamente e fa affidamento alla coscienza e alla libertà dell’uomo.
Il trionfo della morte nel dipinto di Pieter Brueghel il Vecchio, 1562, conservato al Museo del Prado
Ne La peste di Camus le finalità sono di ordine filosofico che, solo se abbandoniamo per un attimo la trama di questo se pur importante romanzo, riusciamo a identificare. In un’altra opera di Albert Camus, Lo stato d’assedio (e anche qui tralasciamo la trama ed i riferimenti storici contingenti che fanno parte di un aspetto puramente divulgativo), la peste interviene, diventa un personaggio, appare direttamente sulla scena nell’opera teatrale. Essa esclama: Io regno, è un fatto, quindi un diritto.
Questo diritto non può essere messo in discussione, la peste impone una sua organizzazione che sostituisce l’apparente pasticcio della realtà. Un ordine che si sostituisce ad un altro ordine. Al diritto naturale, a quello positivo, si sostituisce l’indiscutibile diritto della peste, dove tutto apparentemente è sospeso. Un diritto legato al fatto, allo stato di fatto, non all’uomo e alla sua natura.
Le norme restrittive in vigore durante la pandemia hanno fatto diretto riferimento ai corpi, li hanno regolati, hanno riscritto comportamenti e introdotti limitazioni della libertà. Il fatto è diritto, punto. Non si è trattato di un’emergenza, né di uno stato d’eccezione, ma di un altro ordine, o meglio, di un ordine altro. E’ bene sottolinearlo.
Il sentimento che prevale, da parte degli umili manzoniani, è quello dell’accettazione, sullo sfondo del disegno della Provvidenza divina. Come sappiamo vi è, alla base di questo approccio, un problema teologico serio, posto al Manzoni dai suoi trascorsi giansenisti: l’uomo può salvarsi da solo o vi è la necessità di un intervento divino?
Facciamo, a questo punto, un ulteriore piccolo tentativo di approfondimento, pur rendendoci conto dei limiti di questo scritto. Ci chiediamo perché l’epidemia, un batterio o un virus, piccoli microrganismi possano, in termini concreti o assunti come topos letterari e filosofici, determinare il ribaltamento del diritto naturale, umano, la mise en abyme delle nostre libertà, imporre il diritto del fatto. Cerchiamo di capire anche cosa abbia a che vedere il tutto con il concetto di assurdità.
Vestizione anti Covid-19 del personale sanitario durante la pandemia (Wix pic)
Dobbiamo a Heiddeger l’introduzione del concetto di faktizität, fatticità, propria dell’esser-ci, cioè dell’essere nella storia. Un –ci che spesso rimuoviamo, attraverso meccanismi mimetici, quelli che ci consentono di vivere come se. Come se non esistesse, in primo luogo, la finitezza, l’essere limitati nel tempo, contenuto costitutivo del –ci in questione.
Ritorniamo a Camus e alla sua nozione dell’assurdo. L’assurdo nasce, come ci dice questo autore nel Mito di Sisifo, proprio dal confronto tra il richiamo dell’uomo e il silenzio irragionevole del mondo.
Potremmo dire tra l’umanità e i fatti. Tra il sentimento d’immortalità e la finitudine. Saremo sempre estranei a noi stessi , ci ricorda Camus.
L’epidemia è un fatto, ricorda che siamo fatti di corpi, ci riporta al peso della materia, evidenzia e mette in crisi i meccanismi mimetici. Rivela e ci fa confrontare con la distanza tra l’ esistenza mimetica e l’esser-ci nella storia. Tra il diritto naturale inviolabile e il fatto che diventa diritto.
Il corpo assediato dalla malattia e dalla morte ci sconvolge. Nel caso di Ivan Il’ič, degli altri autori citati, come in quello della pandemia, appare il limite ultimo che, invece di soccombere e di annientarsi, impone interrogativi che sono al di là della medicina e della scienza. Tant’è vero che lo stesso eroe del racconto di Tolstoj, si chiede: Ma davvero la morte? E una voce interna rispondeva: sì la morte. Perché questi patimenti? E la voce rispondeva: così senza un perché. E più in là non gli riusciva d’andare.
Jean-Luc Nancy ci ha lasciati nel 2022. Filosofo molto vicino a Jacques Derrida, si è imposto nel dibattito filosofico internazionale e europeo anche grazie alla sua attività d’insegnamento che si è sviluppata in varie università europee e statunitensi. Nancy è stato, nei suoi scritti,, molto sensibile ai problemi legati al corpo, complici anche le sue vicende personali.
Suo è un piccolo libro edito in Francia da Bayard, dal titolo Un trop humain virus. che risale al 2020. Nancy ci ricorda che la nostra ragione di vivere non può trovarsi che nella non-ragione di un più-che-vivere. Al proposito cita Angelus Silesius: "La Rosa è senza un perché, fiorisce perché fiorisce. Non si preoccupa di sé, non si accorge se la si vede".
Sappiamo, a nostra insaputa, spontaneamente - conclude Nancy - che il “senza ragione” è più forte che qualsiasi ragione.
© Rekh Magazine
Gianfranco Brevetto
Gianfranco Brevetto è il direttore della rivista online Exagere (www.exagere.it), è didatta della SIPP (Società Italiana di Psicologia e Pedagogia) , ha avuto incarichi di docenza presso l’Università di Pisa e l’Università Federico II di Napoli. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni.
Comments