In his novel book essayist Mario Antonio Clerici makes an inquiry concerning the role of the father moving from his own experience. A sensitive scrutiny, this book is also aimed at making a close dialogue with Pope Francis’ “Amoris Laetitia”.
By Mario Antonio Clerici
It seems easy to be parents, but it's not like that: every day is a new day, with unexpected problems to face and unexpected joys that compensate for the "no" moments. We need to pay close attention to everything that happens, even when it seems to be of little consequence because our kids are vulnerable and we parents have the very delicate task of teaching them to fly in the sky of life.
A commitment that is also a duty, although it is often not understood. We know from an early age that children have no sense of danger, so they need to be taught what they can and cannot do. They throw themselves into new experiences. We follow them. Sometimes we are short of breath with anxiety, other times we are amazed at how they know how to deal with complex situations with their intuitive ability and lively intelligence.
Sembra facile fare i genitori, ma non è così: ogni giorno è un giorno nuovo, con problemi impensati da affrontare e gioie inattese che compensano i momenti “no”. Bisogna fare molta attenzione ad ogni cosa che accade, anche quando sembra essere di poco conto, perché i nostri ragazzi sono vulnerabili e a noi genitori tocca il compito, delicatissimo, di insegnare loro a volare nel cielo della vita.
Un impegno che è anche dovere, sebbene spesso non lo si comprenda.
Da piccoli sappiamo che i bambini non hanno il senso del pericolo, per cui si deve insegnare loro ciò che possono fare e quello che non possono. Si buttano nelle esperienze nuove. Noi li seguiamo. A volte abbiamo il fiato corto per l’ansia, altre volte restiamo ammirati per come sanno affrontare, con la loro capacità intuitiva e la vivace intelligenza, situazioni complesse.
Crescendo, i pericoli cambiano, specialmente quando i nostri giovani frequentano le scuole superiori e non possiamo essere accanto a loro in ogni momento. Arriva il momento in cui si deve dare fiducia. Ci si aspetta che l’educazione impartita dia i suoi frutti.
Non dico nulla di nuovo quando parlo dei pericoli che i ragazzi corrono anche in un luogo all’apparenza sicuro e protettivo come la scuola. È facile indurli a consumare sostanze; spesso chi li avvicina sono persone che all’apparenza non destano sospetti e fanno leva sulla voglia che i ragazzi hanno di “scoprire” il mondo dei grandi. È facile incappare in compagnie sbagliate e trovarsi poi coinvolti in situazioni di droga, oppure di alcolismo, per non parlare del bullismo. L’adolescenza è anche il momento, delicato sul piano delle relazioni, in cui i figli iniziano ad avere i primi approcci con la sfera sessuale. Una fase che porta a svelarsi pienamente come persone. La sessualità è un passaggio importantissimo nello sviluppo psicologico, relazionale, emozionale: viverlo male, magari commettendo un errore o subendo una forte delusione può lasciare strascichi indelebili nella personalità dell’adolescente.
Dal mio punto di vista, è fondamentale il dialogo in famiglia, far capire che avere un rapporto sessuale non è un atto fine a sé stesso, per pura soddisfazione fisica, ma coinvolge tutto l’essere umano, corpo, mente, cuore. Vi entrano in gioco i sentimenti. Vi si fa strada l’anima.
Molte volte questa cosa non viene considerata perché si pensa solo alla gratificazione epidermica: è qui ai genitori viene chiesto di essere presenti. Possono e devono star vicino ai figli cercando di parlare con loro di questi temi perché è anche qui che si giocano le “carte” dell’essere famiglia come progetto genitoriale. Né va dimenticato che non si tratta di un compito facile. Anzi: «È difficile pensare l’educazione sessuale in un’epoca in cui si tende a banalizzare e ad impoverire la sessualità».1 Crescere è proiettarsi nella vita e, per questo, richiede di avere ottime basi perché i progetti possano concretizzarsi. Penso alla scuola, complemento educativo che non sostituisce la famiglia, ma si integra e diventa una parte attiva nella costruzione dell’identità dei ragazzi.
Bisogna anche tener conto che i nostri figli devono operare delle scelte che poi influiranno sul loro futuro: il percorso della facoltà universitaria o la ricerca del lavoro sono fasi di crescita che portano a un ulteriore cambiamento esistenziale.
Con l’università capita ai giovani di dover vivere per un certo periodo fuori casa, lasciando il “nido”; un passo emozionante che comporta, da parte loro, di avere le qualità per cavarsela da soli. Se non sono stati preparati bene, o meglio, se non sono “attrezzati” nel modo giusto, il rischio che vadano incontro al fallimento dei loro sogni è reale e può destabilizzare.
Ricordo la scelta di uno dei figli miei figli maschi, che dopo aver preso il diploma di scuola superiore è iscritto all’università e poi, per orgoglio, dopo un’animata discussione con il docente, abbandonò i corsi. Per me e mia moglie questa scelta, tanto repentina quanto – a nostro giudizio immotivato – fu uno choc.
Ma avevamo fiducia nel nostro ragazzo. Sapevamo quanto valesse, anche sul piano intellettuale. Se aveva deciso così, non lo aveva fatto per un “colpo di testa”. Doveva essere stato anche per lui un momento davvero difficile. Noi abbiamo espresso contrarietà, da principio, accettando comunque quella decisione tanto sofferta. Non abbiamo sbagliato a comportarci così, a stare nell’ombra, lasciando che fosse nostro figlio a ritrovare la rotta della sua vita. Forse quel corso di studi, dove pure il ragazzo aveva dato prova di ottime capacità, non era il più adatto alla sua vocazione professionale. Infatti, di lì a poco, nostro figlio ha intrapreso il percorso che più si confaceva a lui, con successo. E si è trattato dell’inizio di una bella carriera nella Marina Militare.
Fece domanda di partire per il servizio militare, venne reclutato quasi subito, durante questo periodo si candidò al concorso per entrare in Marina e da lì ebbe inizio un lungo percorso di visite mediche e di prove attitudinali di vario genere. Venne poi chiamato in Accademia. Era la sua strada. Lo capì immediatamente. Per noi fu difficile accettare, al principio, questa sua decisione perché, in pratica, era come perderlo. Restava lontano mesi e mesi senza poter dare notizie di sé. Potete immaginare come ne soffrissimo. Fu una prova anche per noi. E che prova. Ma se volevamo educare i nostri ad essere liberi, ne dovevamo accettare, con rispetto, le conseguenze.
Non ci mettemmo contro la sua scelta, e abbiamo sempre cercato di fornirgli tutto il nostro supporto. Oggi è felice della sua carriera ed ha avuto molte soddisfazioni dal suo lavoro; ha costruito la sua famiglia in Toscana e vederlo contento ci fa immensamente felici, anche se sentiamo la sua mancanza.
© Rekh Magazine
Mario Antonio Clerici (1957) vive a Lurate Caccivio, in provincia di Como. Dopo una vita professionale nell’ambito del settore tessile, dove ha rivestito diversi incarichi e conseguito numerose specializzazioni, oggi si dedica a tempo pieno al volontariato. Da oltre quarant’anni è attivo come soccorritore in Croce Rossa, dove ha rivestito e ricopre ruoli dirigenziali. Durante la pandemia ha scoperto una speciale vocazione per la scrittura, pubblicando con successo “Un papà in cucina. Sapori e saperi di famiglia” (2021).
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