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Between Secrets & Lies, the Truth Wins

A "Monster" of depth, in a theoretical perspective, as well in anthropological terms: "Bravo" to Hirokazu Kore'eda, the Japanese director of a powerful movie that our reporter Anna Savini finely presents to Rekh Readers. The very core of the story? Fake might seem a strong ingredient of life, however only the truth works. Always. Is it a masterpiece? It really seems so, also for what concerns the main characters.

Il manifesto di "Monster" di Hirokazu Kore'eda, in concorso a Cannes.


di Anna Savini

Scrittrice e giornalista, critico cinematografico di Rekh Magazine a Cannes


La verità non è mai una faccenda semplice. Perché magari non lo è, ma nel momento in cui credi a qualcosa lo diventa.

Il film "Monster", della regista giapponese Hirokazu Kore'eda, parla esattamente di questo. All'inizio c'è una verità.

Un professore ha bullizzato un ragazzino dicendogli che è un mostro con il cervello di un maiale e picchiandolo fino a fargli sanguinare l'orecchio.

La mamma che chiede spiegazioni a scuola viene ignorata dalla preside, sotto choc già di suo perché il maritolp ha investito e ucciso il nipote per sbaglio. In questa parte c'è già una bugia, ma lo spettatore non lo sa.

Come non sa che il professore non era in un locale di ballerine massaggiatrici che è stato incendiato.

Sa soltanto che quel povero ragazzino ha perso la testa e tenta di buttarsi giù dall'auto per colpa di quell'orrendo professore. Che però in realtà non è orrendo per niente, quando entra in gioco la seconda verita.

Il professore non ha fatto proprio niente, ma viene obbligato dalla scuola a scusarsi perché si temono ripercussioni da parte dei genitori moderni.

Prima era colpevole. Ora è innocente. Fra poco diventerà vittima perché gli si scatena addosso un inferno mediatico che gli farà perdere la fidanzata e il lavoro.

Fra un altro po' diventerà eroe. Perchè la verità, quella vera, viene a galla insieme a un uragano. Il ragazzino è amico di un bambino trattato male da tutti, con un padre alcolizzato che lo maltratta.

Però si vergogna di quello che prova per il compagno e quello che era stato addebitato all'insegnante, le scene isteriche, le ferite, le fughe da casa sono tutte legate alla situazione d'amicizia combattuta. Siccome non poteva spiegare quelle sensazioni alla madre, si è inventato tutta la storia sul professore.

Ha mentito, come la preside. La verità adesso è che e stata lei a investire il nipote, ma ha mandato in prigione il mariro per mantenere il suo status.


Perchè i danni che fai quando pensi di aver ragione non li ripari piu anche dopo che hai scoperto che avevi torto. È uno specchio che si incrina e poi si rompe. E non può più essere riparato. Questo insegna il film...

Ci sono anche altri colpi di scena perché il film è molto avvincente, ma il punto non è come va a finire, il punto è quanto puoi soffrire e quanto puoi sopportare per una verità che non è vera. Il professore avrebbe dovuto fermare subito il crollo della sua esistenza, cominciando a smentire il fatto che fosse in una casa di massaggi mentre scoppiava l'incendio (appiccato dal bambino per impedire al padre ubriacone di andarci). Ma non l'ha fatto. Il ragazzino avrebbe dovuto dire che si era fatto male all'orecchio per sbaglio. La preside non avrebbe dovuto costringere l'insegnante per qualcosa che non aveva fatto. Ma non è andata cosi e la situazione è precipitata.

Succede sempre, non solo nei film giapponesi, quando tieni in piedi una finta verità, finisce sempre male.

Per questo prima di accusare e di giudicare qualcuno, è meglio assicurarsi che non sia una delle tante verità a formare il giudizio, ma l'unica. Perchè i danni che fai quando pensi di aver ragione non li ripari piu anche dopo che hai scoperto che avevi torto. È uno specchio che si incrina e poi si rompe. E non può più essere riparato. Questo insegna il film, e lo insegna molto bene anche a chi in verità poteva pensare che un film giapponese "chissà che noia", e invece non lo era affatto.


© Rekh Magazine



Narratrice, intellettuale. Di professione reporter



Anna Savini, giornalista, ha un occhio particolare per le storie, la cronaca e l'attualità. Titolare di una rubrica di Bon ton insieme a Vera Fisogni, lavora al quotidiano La Provincia. Ha pubblicato per Mondadori, "Buone ragioni per restare in vita", opera celebrata per aver raccontato in maniera ironica le cure per una malattia che resta solo sullo sfondo, mentre l'amore e la moda sono i veri protagonisti. Ha lavorato al Giornale, vanta collaborazioni con Il Corriere della sera, Grazia, Vanity Fair, Rai 2, Radio 24, Italia Uno, Gioia, Di Più, Tess, Mag. Grande appassionata di cinema, moda e rapper che permeano il suo secondo libro "Sclera Ebbasta" ha pronta una saga che pubblicherà quando sarà il momento. Nel frattempo racconta quel che pensa della vita sul suo profilo Instragram annasaviniebbasta.




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