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Plants Call for a Change in the Planet

  • Writer: Primavera Fisogni
    Primavera Fisogni
  • 2 hours ago
  • 4 min read

On 10 November, Professor Stefano Mancuso, who is a full professor and the director of the International Laboratory of Plant Neurobiology (LINV) at the University of Florence, gave a lecture entitled 'Natural Intelligence. Roots of community. Learning from nature', at an event promoted by the Como Chamber of Commerce. Professor Cristiana Fisogni, a science teacher at the 'Vittorio Bachelet' Scientific High School in Oggiono (Lecco), reported on the conference


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A road in the forest (Wix Pic)


Il 10 novembre a Como, presso il Collegio Gallio, è intervenuto il professor Stefano Mancuso,direttore del Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale (LINV) dell’Università degli Studi di Firenze, dove è professore ordinario, per tenere una lectio magistralis dal titolo "Intelligenza naturale. Radici di comunità. Apprendere dalla natura", un incontro promosso dalla Camera di Commercio di Como. Tra il pubblico era presente la professoressa Cristiana Fisogni, docente di Scienze al Liceo Scientifico "Vittorio Bachelet" di Oggiono (Lecco), autrice di questo articolo.



di Cristiana Fisogni



Il Professor Stefano Mancuso ci invita a riconsiderare una convinzione profondamente radicata: quella dell'abbondanza della vita sul nostro pianeta. Contrariamente a quanto si possa pensare, la biosfera, ovvero lo strato della Terra in cui la vita è presente, è straordinariamente sottile.

La vita si concentra in una fascia verticale di appena 20 chilometri, che si estende per circa 10 km sotto il livello del mare e 10 km sopra di esso. Considerando il raggio equatoriale terrestre di 6378 km, questa fascia rappresenta uno spessore utilizzabile per la vita di solo lo 0,31% del raggio. Ancora più sorprendente, il 97% della vita si addensa in uno strato di soli 5 km, corrispondente a un esiguo 0,0078% del raggio terrestre. Analizzando la biomassa totale, emerge la posizione marginale degli animali, compreso l'essere umano, rispetto ad altri regni viventi:


Forma di vita

Percentuale in peso

Piante

87%

Batteri

12%

Funghi

1,2%

Animali

0,3%

Uomo

0,006%


L'essere umano, pur rappresentando una porzione infinitesimale della biomassa totale, esercita un impatto sproporzionato sul pianeta. Se gli 8 miliardi di persone si disponessero spalla a spalla, occuperebbero appena i tre quarti della superficie del Lussemburgo. Questo dato sottolinea quanto poco spazio fisico occupiamo come organismi viventi.

Eppure, è l'appropriazione di spazio per le proprie attività — dall'agricoltura all'urbanizzazione — che definisce la nostra impronta sul Pianeta, conducendo a una massiccia riduzione della biodiversità vegetale e animale.


La distruzione del patrimonio vegetale


A partire dall'inizio della civiltà agricola circa 12.000 anni fa, si stima che esistessero 6.000 miliardi di alberi. Oggi, ne sono rimasti circa 3.000 miliardi. La fase più drammatica di questa distruzione coincide con gli ultimi 200 anni della Rivoluzione Industriale, durante i quali ben 2.000 miliardi di alberi sono stati abbattuti. Questo volume è paragonabile alla totale deforestazione dell'intera America, dal Nord al Cile. Un esempio emblematico è il taglio della foresta Amazzonica, una foresta primaria vitale, caratterizzata da una biodiversità eccezionale (un migliaio di specie diverse in una piccola superficie). La sua importanza trascende la biologia: essa genera vapore acqueo in quantità pari a due volte l’acqua del Rio delle Amazzoni (il fiume più lungo del mondo, 6990 km), regolando i cicli idrici e climatici globali.

Il problema della deforestazione non è solo la perdita di un singolo organismo o di una specie, ma la distruzione di interi ordini biologici. L'impatto sulla fauna è agghiacciante:


  • Dal 1970 a oggi, è scomparso il 91% degli anfibi (rimasto solo il 9%).

  • Tra gli uccelli, ben l'85% è costituito da polli destinati al consumo umano.

  • Tra i mammiferi, una schiacciante maggioranza è rappresentata dagli esseri umani e dagli animali da allevamento (97% della biomassa)



Questo significa che gli animali selvatici costituiscono solo un misero 3% della biomassa totale dei mammiferi sulla Terra. Questa massiccia prevalenza di poche specie (monocolture vegetali e animali di allevamento) a scapito della varietà naturale rende le attività umane intrinsecamente insostenibili, poiché il collasso della biodiversità mina la resilienza e l'equilibrio degli ecosistemi del pianeta.

L'evoluzione naturale assegna a una specie una vita media di circa 5 milioni di anni. La nostra, Homo sapiens sapiens, esiste da appena 300.000 anni e, paradossalmente, è già impegnata in un processo di auto-compromissione, guidato principalmente dall'accelerazione del processo del riscaldamento globale.

Le attività umane hanno innescato un aumento critico della temperatura media: dal 1900 ad oggi, si è registrato un incremento di 1,5 °C. Questo aumento, apparentemente modesto, è significativo se confrontato con variazioni storiche. Per esempio, la Piccola Era Glaciale (1300-1700 d.C.) fu causata da un abbassamento di soli - 0,4 gradi centigradi in meno rispetto alle temperature medie di quel periodo. L'attuale aumento sta producendo cambiamenti ambientali le cui conseguenze macroscopiche sono già evidenti.



Conseguenze e scenari futuri


Le proiezioni per i prossimi cinquant'anni sono allarmanti: si ipotizza che la quota di territorio globale che verrà reso inabitabile a causa delle temperature eccessive oscillerà tra il 14% e il 18%. Questo scenario comporterebbe lo sfollamento di una popolazione stimata tra 800 milioni e 2 miliardi di persone, con la conseguenza più immediata e drammatica: le migrazioni di massa. Di fronte a tale scenario, è cruciale riconoscere che l'emergenza del cambiamento climatico non è irrisolvibile. Irrisolvibili sono solamente i cicli naturali e il riscaldamento globale non lo è . Al contrario, la sua origine antropica implica che la soluzione sia interamente nelle nostre mani.

A riprova che la tendenza può essere invertita, emerge una nota positiva dall'Unione Europea: negli ultimi tre anni, si è registrato un calo nella produzione di anidride carbonica (CO2), pur in concomitanza con una progressiva crescita della ricchezza dell'Unione. Questo risultato dimostra la possibilità di disaccoppiare lo sviluppo economico dall'impatto ambientale.

Nonostante la fattibilità di un miglioramento, l'essere umano è spesso incline a far prevalere i propri interessi particolari (individualismo). Questo rischio può rallentare o paralizzare il processo di miglioramento globale. Per superare l'inerzia, il fattore etico deve diventare il principale motore (drive) del benessere dell'ecosistema. È necessario, dunque, uno switch mentale cruciale: occorre passare da una visione ristretta, concentrata sugli interessi di un singolo a quelli dell'intera specie umana, a carattere sistemico e planetario.

L'obiettivo finale — come ribadisce il professor Mancuso — non è il benessere economico immediato, ma la sopravvivenza della specie stessa.


© Copyright Rekh Magazine


L'autrice


Cristiana Fisogni, laureata in Scienze Naturali all'Università Statale di Milano, è professoressa di Scienze al liceo "Vittorio Bachelet" di Oggiono (Lc). Con Stefano Giudici ha firmato il libro "Polenta & pucio. Sapori e saperi di Brianza" (2021).


 
 
 

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