In 1967 Gentili and Muscatello rised a main question to Italian psychiatry about the 'epistemological problem': how can psychopathology take on a scientific statute considering that it grounds on an almost unafferrable object of study and in any case not measurable as the lived experience? This is the second paper from the Laboratorio di Antropologia Generale di Bologna, authored by Maria Bologna, Angelo Grossi, Salvatore Inglese, Paolo Scudellari, and Paolo Vistoli. The February paper is attached.
La psicopatologia fenomenologica come metodo antropologicamente fondato
Che cosa è un maestro? Intanto si capisce dopo chi è stato il vero maestro:
quindi il senso di questa parola ha la sua sede nella memoria
come ricostruzione intellettuale, anche se non sempre razionale,
di una realtà comunque vissuta.
Nel momento in cui il maestro è effettivamente ed esistenzialmente maestro,
cioè prima di essere interpretato come tale,
non è dunque un maestro nel senso reale della parola
P. P. Pasolini Un paese di temporali e primule, 2001
di Maria Bologna, Angelo Grossi, Salvatore Inglese, Paolo Scudellari, Paolo Vistoli
È un lungo percorso all'indietro, accompagnato da un debito di riconoscenza verso i Maestri, quello che ci consente di riscoprire le origini del nostro essere psicopatologi. Nel 1967 un articolo di Gentili e Muscatello tenta di sensibilizzare la psichiatria italiana alla problematica epistemologica. Il quesito che già allora viene posto è il seguente: come può la psicopatologia assumere uno statuto scientifico considerando che fonda la sua stessa costituzione su un oggetto di studio quasi inafferrabile e comunque non misurabile come l'esperienza vissuta? Le conclusioni di quell’articolo si possono riassumere in questo modo: la psicopatologia può essere considerata una scienza in quanto esistono configurazioni esperienziali invarianti e tipiche, ricorrenti con frequenza non casuale; tali configurazioni sono analizzabili attraverso i comportamenti comunicativi e quindi possono essere riformulate in termini di osservabilità, criterio quest'ultimo comune a tutte le scienze naturali; le configurazioni esperienziali invarianti (ad esempio, la struttura formale di un delirio, l'aspetto invariante di una fenomenologia ossessiva) possono essere considerate modelli semplici, grazie ai quali sarà possibile riconoscere varianti psicopatologiche più complesse e mascherate.
Attentive therapist (Wix pic).
Quello che oggi può essere rivisto criticamente di questa visione è la rigida cesura, la netta discontinuità nosografica fra le diverse configurazioni psicopatologiche, che allora appariva quasi una necessità e che si contrapponeva alla fluttuante incertezza epistemologica, che attraversava la psichiatria in quel momento storico. Ancora oggi il concetto di invarianza e tipicità di certe configurazioni esperienziali rappresenta un irrinunciabile punto di ancoraggio, che tiene agganciata la psicopatologia ad una visione epistemologicamente stabile del suo oggetto di studio. Bisogna intendere il concetto di invarianza come puramente descrittivo, al limite della pura e semplice constatazione di esistenza; concetto che non pretende di farsi carico di operazioni di smascheramento e comprensione, più o meno connesse con una sintomatologia o una grammatica causalistiche.
Nel 1967 un articolo di Gentili e Muscatello tenta di sensibilizzare la psichiatria italiana alla problematica epistemologica. Il quesito che già allora viene posto è il seguente: come può la psicopatologia assumere uno statuto scientifico considerando che fonda la sua stessa costituzione su un oggetto di studio quasi inafferrabile e comunque non misurabile come l'esperienza vissuta?
La psicopatologia fenomenologica rimane asse portante della psichiatria grazie alla ricerca di una prospettiva globale sull'esperienza umana, in quanto vettrice e donatrice di senso anche nelle sue manifestazioni estreme. Rappresenta, infatti, un approccio metodologico teso a cogliere il nucleo esistenziale organizzatore presente in fenomeniche cliniche diverse, discontinue ed apparentemente incomprensibili. Da questo punto di vista, la psicopatologia si presenta per ciò che veramente è sin dalla sua fondazione jaspersiana: una disciplina vocata ad interrogarsi sulla varietà, il senso e la progettualità di mondi antropologici possibili e sul compito di ricomporli e rappresentarli per poterli in qualche modo abitare nell'incontro intersoggettivo. Come scrive Muscatello: "… Potremo così recuperare, e anche rilanciare, una istanza fondamentale della antropoanalisi applicata alla psicopatologia: quella di essere una scienza di fenomeni antropologicamente fondati, tesa a scavalcare gabbie disciplinari, riduttive antinomie e frammentari, dispersivi tecnicismi" (1996).
È possibile riassumere alcune coordinate della psicopatologia fenomenologica: la ricerca di senso e continuità antropologica nei fenomeni clinici; il rilievo determinante conferito all'esperire della persona come sola, vera occasione di conoscenza; l’assoluto primato dell'incontro interpersonale.
Essere psicopatologi fenomenologi significa porsi sempre la stessa nevralgica domanda destinata a non estinguersi mai: quale valore antropologico si cela dietro ciò che abitualmente percepiamo, ascoltiamo, esperiamo circa i fenomeni clinici, che di volta in volta ci offre l'infinito orizzonte dei vissuti psicopatologici? E come decodificare l'assolutamente privato, l'indicibile?
Essere psicopatologi significa cercare la continuità nella discontinuità dei diversi agglomerati clinici e leggere questa discontinuità nell'ottica di una continuità narrativa, che apra alla comprensione di esperienze, eventi, storie ai margini estremi dell'intelligibilità e, qualche volta, della dicibilità. Solo muovendosi in questa direzione il discorso psicopatologico può essere in grado di oltrepassare il dato meramente descrittivo per aprirsi alla genesi strutturale e storica del fenomeno clinico.
Woman in therapy (Wix pic).
In questa ottica, i concetti non si configurano più come rasoi infallibili e risolutivi che tagliano la realtà clinica nei suoi punti di articolazione, ma sono piuttosto punto di partenza di percorsi conoscitivi più complessi e faticosi. In epoca di neo-riduzionismi, la psicopatologia fenomenologica esige innovate capacità di attenzione ed ascolto. È necessario sottolineare come la sua funzione ermeneutica sia tutt'altro che esaurita avendo acquisito piuttosto una ulteriore spinta verso nuovi orizzonti conoscitivi; si configura oggi come la strada metodologica che consente una comprensione antropologicamente fondata dell'esperienza. Libera da preoccupazioni etiologiche e nosografiche, può occuparsi con impegno totale delle strutture di senso intorno alle quali si organizzano tutti i fenomeni psichici.
Ora che la fenomenologia descrittiva jaspersiana sembra avere esaurito ormai il suo compito, l'approccio ermeneutico, comprensivo-interpretativo, consente di restituire una nuova, specifica originalità alla psicopatologia. Non si tratta di una discontinuità di orizzonti, perché la fenomenologia che è una dottrina descrittiva dei fenomeni della coscienza intesi come accadimenti sui generis, come esperienze sempre e comunque dotate di senso, è vocazionalmente inscritta in un orizzonte ermeneutico. La coscienza fenomenologicamente intesa è imbevuta di significato ed interpreta incessantemente secondo la propria visione del mondo le realtà che incontra. Come per l'ermeneutica anche per la fenomenologia conoscere è interpretare.
Essere psicopatologi fenomenologi significa porsi sempre la stessa nevralgica domanda destinata a non estinguersi mai: quale valore antropologico si cela dietro ciò che abitualmente percepiamo, ascoltiamo, esperiamo circa i fenomeni clinici, che di volta in volta ci offre l'infinito orizzonte dei vissuti psicopatologici? E come decodificare l'assolutamente privato, l'indicibile?
Gli strumenti di cui si serve sono l'attenzione partecipe, la descrizione e l'analisi delle esperienze interne quali si danno alla coscienza, la comprensione ermeneutica dei modi attraverso i quali il dato di coscienza si manifesta e si articola nella costruzione di un immaginario e di una visione del mondo assolutamente personali. In questa prospettiva metodologica, la psicopatologia diviene una sorta di semantica dell'esistenza umana, in tutte le sue declinazioni e nella articolazione tra mondo proprio e mondo comune. Soltanto ponendosi all'interno di questa posizione metodologica è possibile cogliere, come scrive con grande acutezza Callieri, "…l'alter che si cela nell'alienus" (1996).
Women at work (Wix pic).
La psicopatologia fenomenologica può configurarsi dunque come metodo per l'analisi della complessità dell’esperienza umana. Senza giungere mai a formulazioni compiute e definitive, consente di intravedere la qualità antropologica essenziale di un epifenomeno clinico, a cui rimanda continuamente in modi infinitamente aperti. Così intesa, ha più a che vedere con un'attitudine di pensiero, con un esercizio. Nel porre in questione la soggettività, introduce una tonalità anti-speculativa e ribadisce un tratto etico: ciò che si esercita attraverso questa disciplina è, in definitiva, una capacità di ascolto messa in atto da un'attenzione rigorosa e responsabile. Custodire, salvaguardare, lasciar essere sono i vertici di questo ascolto, che esige un’attitudine all'astensione e alla attesa: "… Un simile atteggiamento di ascolto non è un arresto dello sguardo, quanto piuttosto una riscoperta del visibile" (Rovatti, 1992).
Contra doctrinam - Essere abitati da voci
La vita è musicale, si sa.
Sui suoi temi fondamentali,
sulle sue “frasi” più intense, non ama indugiare.
Si limita a darteli di furto, ad accennarteli appena…
Sono persuaso che la poesia, quando c’è,
meriti di essere considerata almeno per quello che è,
per lo strano gioco di cui consiste,
per il primordiale dono di illusione,
di verità e di musica che vuol darci anzitutto.
G. Bassani, Prefazione a Il Gattopardo, 1958
La fenomenologia scuote dalle fondamenta il modello tradizionale di apprendimento. Il pensiero complesso e multidimensionale, che cerca un rapporto più consapevole con il proprio oggetto di osservazione, delinea un nuovo profilo della conoscenza, che nella consapevolezza della propria finitezza e provvisorietà scopre possibilità sempre nuove di leggere il mondo. Questo processo, così lontano dalle forme di apprendimento tradizionali del pensiero scientifico, legate ad un modello del pensare neutrale, affermativo ed onnipotente, in quanto pretende di rappresentare il reale così com'è e di affermare la verità, configura percorsi conoscitivi complessi e faticosi. Il lavoro psicopatologico consiste proprio nella disponibilità a smarrire questa chiarezza, non appena la si è acquisita come saldo punto di riferimento. Il metodo della messa in questione si sostituisce alla risoluzione definitiva di un caso (Schneider, 1967).
Psychedelic background (Wix pic).
Proprio perché la ricostruzione di una storia clinica non agisce attraverso rivelazioni assolute, verità apodittiche, quanto piuttosto attraverso indizi e tracce, costituisce una sorgente di senso praticamente inesauribile. Una narrazione potrà essere più convincente o più credibile, mai la più vera, mai l'unica possibile, perché è l'atto di cogliere insieme, comporre e orientare secondo un senso alcune emergenze significative di quella esperienza umana, che in una dimensione ordinaria potrebbero rimanere eterogenee, discordanti e casuali. In questo modo, gli eventi vengono trasformati in storia e, correlativamente, una certa storia è ricavata da eventi. Il pensiero ermeneutico sottolineerà, a questo punto, che molte sono le storie possibili, perché ogni testo vitale è sorgente inesauribile di senso e quindi di intelligibilità narrativa. È storia da ascoltare in attesa che qualcosa accada, si fermi, si assesti in dinamiche manifeste ed implicite e lasci intravedere un progetto di mondo. Si tratta di lasciare spazio a connessioni e ad accostamenti imprevedibili, al libero gioco delle immagini e dei piani temporali, alle disarticolazioni e ai crittogrammi del linguaggio, insomma all’emergere dell'immaginario nell'ordine del discorso razionale fino a nuovi spazi di significazione, ad inedite aree metaforiche.
La fenomenologia scuote dalle fondamenta il modello tradizionale di apprendimento. Il pensiero complesso e multidimensionale, che cerca un rapporto più consapevole con il proprio oggetto di osservazione, delinea un nuovo profilo della conoscenza....
In questa prospettiva, la figura dello psicopatologo può essere assimilata a quella dell’esegeta, al quale compete di interpretare un sapere, di far parlare la coerenza o le coerenze di una storia in qualche misura sempre ellittiche e segrete. Il tema della metafora assume a questo proposito una posizione emblematica, in quanto va vista come area di formazione di un senso in fieri, come luogo di proiezione dell'immaginario e come progetto di mondo. Per assumere questo potere la metafora deve essere essenziale, collocarsi cioè in un punto di snodo vitale che fa emergere una chiave di significato assolutamente personale; mentre chi la interpreta lascia nello sfondo gli eventi neutrali e accetta con consapevolezza ed umiltà il limite del lavoro di esegesi.
L'apprendimento di questo metodo e di questa attitudine di pensiero può realizzarsi solo all'interno di una dimensione interpersonale, nello spazio di una relazione che interessi lo psicopatologo e il paziente, l'allievo e il maestro, gli allievi tra loro e in cui ciascuno rappresenti per l’altro il limite, il confine. Attitudine all'esercizio della intersoggettività potrebbe anche definirsi questa metodologia ascetica, in quanto allenata all’astensione e alla attesa, che si costituisce forse come l'unica condizione possibile perché il paziente comunichi allo psicopatologo qualcosa che segretamente gli appartiene. Per questo è sempre più necessario coltivare nella formazione dei giovani una fondamentale passione per l'esistenza. È quanto Simone Weil sottolinea nella sua breve, ma intensa esperienza didattica; oltre la vocazione principale che è quella di insegnare cosa significa conoscere e di suscitare motivazioni che sono alla base di ogni azione, l’aspetto fondante dell’educare riguarda il ruolo della cultura nel formare le persone all’attenzione, perché insegnare l’amore del sapere significa favorire l’attenzione intuitiva e l’accettazione autentica della vita e degli altri (1998).
Ora che la fenomenologia descrittiva jaspersiana sembra avere esaurito ormai il suo compito, l'approccio ermeneutico, comprensivo-interpretativo, consente di restituire una nuova, specifica originalità alla psicopatologia.
Il pensiero di gruppo può dare origine ad una riflessione clinica di secondo livello in grado di superare i limiti dell’antropologia analitica classica, in cui ciascuno riflette descrittivamente sui propri casi. È interessante chiedersi quale elaborazione-trasformazione accada tra il primo e il secondo livello. Probabilmente quel tragitto dal particolare al generale per tornare ad un particolare rinnovato ed arricchito dalla comprensione collettiva, secondo quelrapporto irrisolto, eppure ineludibile, fra tipicità e singolarità di quegli eventi intra-soggettivi che definiamo psicopatologici. La tipicità è sempre alla ricerca di regolarità, mentre la singolarità evade qualunque tentativo di omologazione ed assoggettamento ad una regola. Si delineano così le traiettorie di un pensiero eretico, ogni volta responsabile di una scelta, animato da più voci interne ed esterne rappresentate dai percorsi di riflessione e apprendimento di ciascuno ed addestrato ad accogliere la contraddizione.
Questa modalità di apprendimento e lavoro può aprirsi ad una dimensione apollinea, una serena sintesi, che nasce da una contiguità felice tra clinica e teoresi, tra metodo e tema. Weinrich scrive che quando si fruisce di un contenuto artistico ci si trova in una condizione obbligata di serenità, stante la distanza e la libertà che esistono tra l’artista e chi è esposto alla sua opera. Nel momento in cui si stabilisce questa relazione, l'inquietudine di entrambi scompare (1976). Per traslazione questo vissuto può caratterizzare anche il clima di un gruppo di riflessione quando, e proprio perché, si riesce a stabilire distanza e libertà. Come accade nell’esperienza socratica dell’apprendere, in cui ciascuno si riferisce all’altro con cui dialoga, che sottopone a domande, con cui cerca un accordo (o accetta un disaccordo) che non riguarda gli universali, ma piuttosto la relazione di sé con sé nel tentativo di fondare un’armonia tra ciò che si è e ciò che si pensa.
Il Laboratorio di Antropologia Generale come luogo di deuteroapprendimento
… Stavo per dire, ma adesso che ne ho parlato con voi
non ho più la certezza di dire…
P. V.
In un articolo del 1942 Bateson introduce il concetto di deuteroapprendimento, apprendimento di livello due e processo contestuale all’apprendere, attraverso cui si impara ad imparare; che collega il conosciuto allo sconosciuto, il riconoscimento alla scoperta consentendo di passare dalle singole esperienze ad una vera e propria struttura di senso, un’epistemologia. Questo livello non si riferisce a oggetti semplici, ma a contesti intersoggettivi. In un’ottica costruttivista, si potrebbe dire che il soggetto costruisce in tal modo se stesso e struttura i contesti che vive, li mappa e li co-determina; questo consente una ricontestualizzazione, dal momento che rende possibili nuovi presupposti relazionali, nuovi modi di essere-con-l’altro. In termini di funzionamento della mente, si può dire che il deuteroapprendimento ha a che vedere con il pensiero sul pensiero, quella metacognizione che indica una autoriflessività sulla funzione cognitiva attraverso la possibilità di distanziarsi, auto-osservare, riflettere sui propri stati mentali.
Il Laboratorio è il luogo dove tutto questo accade e in cui continuare a svolgere l’esercizio del narrare e dell’interpretare insieme una storia clinica secondo modi, parole e metafore da rinvenire di volta in volta avendo sempre presente l’orizzonte della cura. Luogo capace di far entrare in risonanza le categorie della necessità, cioè le invarianti psicopatologiche, i campi disciplinari, gli assunti della conoscenza, la struttura del linguaggio con l’orizzonte delle possibilità, cioè con le narrazioni personali e soggettive, i significati e le metafore che costruiscono mondi e storie personali mai univocamente definite e concluse. L’approccio fenomenologico così inteso fa danzare insieme, come direbbe Wittgenstein, queste polarità così co-essenziali della condizione umana.
© Rekh Magazine
Bibliografia
Bateson G. (1942) La pianificazione sociale e il concetto di deuteroapprendimento. In Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1977
Callieri B. Inquadramento antropologico dell’esperienza d’incontro con lo psicotico, «Atque» n. 13, maggio-ottobre 1996
Gentili C., Turci P.E., Muscatello C.F. Sul concetto di delirio. Analisi di un caso clinico, Ann. Neur. Psic., LXI, 8, 1967
Muscatello C.F. Verso il linguaggio perduto dell’ipocondria, in Atti della Giornata di Studi Fenomenologici “Il linguaggio perduto della Psicopatologia”, Reggio Emilia, 17 febbraio 1996
Rovatti P. A. L'esercizio del silenzio, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1993
Schneider K. (1967) Psicopatologia clinica, Giovanni Fioriti, Roma, 2004
Weil S.Piccola cara… Lettere alle allieve, Marietti, 1998
Weinrich H. (1976) Metafora e menzogna. La serenità dell'arte, Il Mulino, Bologna, 1983
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