Our insider at the Festival de Cannes, novelist and journalist Anna Savini, had an immersive day at the cinema: a true marathon where it could be find the good and the bad melted together, as always happens on the occasion of a festival. Applause to "Le règne animal" directed by Thomas Cailley featured by a team of outstanding actors, among whom Romain Duris and Paul Kircher (dad and son in the story) make the difference.
Romain Duris e Paul Kircher in una scena di Le règne animal di Thomas Cailley
di Anna Savini
Critico cinematografico di Rekh Magazine, da Cannes
Guardare un film sbagliato è come quando un'attrice americana sbaglia marito. Se ne accorge praticamente subito, ma prima di passare al successivo deve sopportare la pena per un tempo che, seppur breve, sembra interminabile.
Con Les Delinquentes è andata più o meno cosi. E' lunghissimo per stessa ammissione del regista; ed è un peccato perche l'idea non era male. Un impiegato ruba 650mila euro dalla banca dove lavora e si consegna alla polizia, ma prima coinvolge un collega che non c'entra niente chiedendigli di tenere via il denaro per tre anni e mezzo, il tempo in cui resterà in prigione.
Questo secondo i suoi calcoli, perché poi non va esattamente come previsto e comunque i soldi rubati tolgono il sonno di notte al collega. Il primo tempo non finisce mai, il secondo si attarda prima di far capire che la ragazza che fa capitolare il collega è la stessa che aveva sedotto il rapinatore.
Marito e film scartati prima della luna di miele.
Altro scapolo, pardon film, promettente era The Goldman Case, che però e monotono, tutto in un'aula di tribunale che non ha niente a che vedere con quella dell' Avvocato del diavolo.
Le règne animal invece è il classico film che non riesci a mollare neanche un secondo anche se la storia è strampalata e potrebbe allontanare. Sulla Terra è in corso una mutazione genetica del genere umano per cui alcuni vengono colpiti da questo virus e si trasformano in mostri mezzo uomo e mezzo animale come nella mitologia greca. Una mamma è stata colpita, il padre (Romain Duris) e il figlio (Paul Kircher) devono affrontare la cosa. E ce la farebbero anche se non fosse che anche il figlio inizia la mutazione.
I protagonisti sono due mostri di bravura e il film commuove per quanto è emoziomante.
Ovviamente trovare un bel film non è come trovare matito, ma ti lascia addosso una sensazione di appagamento e felicità come quando mangi qualcosa di buono che ti traghetta in un'altra dimensione spazio temporale. Però quando sbagli piatto al ristorante resti nervoso per ore.
È che i film sono come la scatola di cioccolatini di Forrest Gump, non puoi mai sapere cosa ti capita. Quindi magari muori dal desiderio di vederlo, anche perché lo trovi sempre tutto prenotato, ma alla fine è una delusione. E scopri che lo hai branato oer niente.
Che è poi il tema di The nature of love di Monia Cokri, un ripasso di filosofia e di teorie sull'amore secondo Platone, Spinoza, Aristotele e Schopenauer perché la protagonista insegna proprio questo all'università della terza età. Bloccata in una relazione di lunga durata in cui la passione è morta e sepolta, ma che la routine fa andare avanti lo stesso, si innamora del muratore che deve ristrutturare il suo chalet.
Un amore folle che galoppa in clandestinità e si nutre di incontri infuocati. Poi lei lascia il fidanzato e l'amore decolla. Non fanno altro che amarsi.
Lei brilla. E sopporta anche le differenze di classe e di cultura.
Al primo litigio, però, viene fuori tutto. Lui la pianta, lei soffre, lui soffre, poi ritorna, le chiede di sposarla.
Lei accetta, subito dopo però in macchina piange, si toglie l'anello e si fa lasciare da sola per strada. Tanto piangeva anche lui per quel passo che vedeva come una prigione.
Quindi vince la teoria che la parte migliore dell'amore è il desiderio come quello di sperare di vedere un altro buon film.
La prima di Indiana Jones ieri era piena anche nelle code last minute.
Però il desiderio di domani sarà quello sperando che regga le aspettative.
(Capitolo 4)
© Rekh Magazine
Narratrice, intellettuale. Di professione reporter
Anna Savini, giornalista, ha un occhio particolare per le storie, la cronaca e l'attualità. Titolare di una rubrica di Bon ton insieme a Vera Fisogni, lavora al quotidiano La Provincia. Ha pubblicato per Mondadori, "Buone ragioni per restare in vita", opera celebrata per aver raccontato in maniera ironica le cure per una malattia che resta solo sullo sfondo, mentre l'amore e la moda sono i veri protagonisti. Ha lavorato al Giornale, vanta collaborazioni con Il Corriere della sera, Grazia, Vanity Fair, Rai 2, Radio 24, Italia Uno, Gioia, Di Più, Tess, Mag. Grande appassionata di cinema, moda e rapper che permeano il suo secondo libro "Sclera Ebbasta" ha pronta una saga che pubblicherà quando sarà il momento. Nel frattempo racconta quel che pensa della vita sul suo profilo Instragram annasaviniebbasta.
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