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Exploring Evil from Cain to Camus

  • Writer: Primavera Fisogni
    Primavera Fisogni
  • 2 days ago
  • 6 min read

Good and evil, as the extremes of the human condition, have always been a subject of philosophical, theological, and literary inquiry. Starting from a text by the Swiss author Charles-Ferdinand Ramuz, which has now been translated from French, the director of the magazine 'Exagere', Gianfranco Brevetto, offers the readers of 'Rekh Magazine' a profound, far from obvious analysis that opens up new questions, if possible

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Un'immagine metaforica della condizione umana (Wix Pic)


di Gianfranco Brevetto


Nel 1922, Charles-Ferdinand Ramuz, prolifico autore svizzero, diede alle stampe il racconto La présence de la mort, del quale può, ora, godere pienamente anche il lettore italiano1. Si tratta di un testo che possiede caratteristiche che, al di là della pregevole e modernissima forma letteraria, fanno proprio al caso nostro per poter, quanto meno, fornire qualche piccolo e limitatissimo spunto sul tema del Male.

La vicenda si svolge sullo sfondo di un borgo sulle rive di un lago alpino, una comunità, che poi si dimostra fatta di singole deboli unicità, si trova a fronteggiare una catastrofe planetaria: la terra, a causa di un incidente gravitazionale, tende a precipitare verso il sole.

Un’iniziale incredulità, l’impreparazione e una sorta di ostinata furbizia contadina pietrificano qualsiasi risposta collettiva. Con l’andare dei giorni e l’inesorabile aumento delle temperature, moltiplicano episodi di violenza di piccoli gruppi contro altri piccoli gruppi o di singoli uomini e donne contro se stessi.

L’incapacità di far fronte ad un’ineluttabile fine di tutto il pianeta rende ciechi e impedisce qualsiasi risposta collettiva. Quella che si credeva una comunità tranquilla e felice si riscopre una tragica folla di atomi che non dialogano più tra di loro.

Il suicidio e l’omicidio appaiono, così, le uniche forme di resistenza alla fine della storia umana.


Il "paradigma" di Caino

Come in altri racconti simili, la fine della nostra specie e quella della vita sul pianeta, sembra rinviare specularmente a i suoi inizi, ai suoi primordi, alla domanda posta a Caino: «Dov'è Abele, tuo fratello?» E la lapidaria risposta che è unita a un’altra domanda: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?»

Siamo agli inizi, alla Genesi. Caino viene condannato ad errare senza meta apparente. Teme di essere a sua volta ucciso. Solo il Signore ha pena di lui e lo protegge: chiunque ucciderà Caino sarà sottoposto ad una pena sette volte maggiore. 2


Se ci appare del tutto normale passare dalla cura del nostro animale domestico, da quella a un nostro parente stretto, alla giustificazione di uno o migliaia di morti per qualsiasi motivo, vi è un chiaro problema di follia individuale e collettiva. Siamo di fronte a un esercizio a casaccio, capriccioso, sempre per citare Camus, di malizia e di virtù. L’albero della conoscenza, il lignum boni et mali, è da intendersi come un lignum boni aut mali?

Di fronte al nulla, al tempo che perde completamente senso, alla fuga nella morte per paura della morte certa, i valori condivisi saltano, la giustizia umana non ha alcun effetto.

Se la terra scompare, se si fonde nel sole, che significato potrebbe avere la legge e le sue conseguenze. Appare l’uomo legibus solutus, in un pianeta alla deriva che non risponde, anche lui, alle leggi fisiche della gravità dei corpi. Come nell’Eden, di fronte alla responsabilità di aver violato il lignum boni et mali, ci si nasconde nel giardino terrestre credendo di non essere visto, così accede al giardino extraterrestre dello spazio cosmico.

Chi potrà mai trovarci? Eppure, ci si scopre nudi.

Questo articolo, questa riflessione, potrebbero, a questo punto, chiudersi così. Questa analogia tra inizio e fine dell’umanità ci potrebbe soddisfare.


L'analisi di Camus

L’uomo in rivolta è un testo di Albert Camus apparso nel 1951. Per stessa ammissione dell’autore, l’opera si presenta come prosecuzione logica di un saggio scritto qualche anno prima, nel 1942, Il mito di Sisifo che aveva per sottotitolo Saggio sull’assurdo.

Non conosco il motivo preciso, forse da ricercare nel fatto che la pubblicazione dell’Uomo in rivolta abbia segnato una rottura definitiva del sodalizio con l’altro intellettuale di punta di quegli anni, Jean-Paul Sartre, ma mi sembra, rispetto all’importanza dell’argomento trattato, che sia un testo, oggi, molto poco citato: Soprattutto se lo si confronta con il più volte scomodato, in tutte le salse, Mito di Sisifo.

Veniamo all’incipit de L’uomo in rivolta:

Ci sono delitti di passione e delitti di logica. Il confine che li separa è incerto. Ma il Codice penale li distingue abbastanza abbastanza acconciamente, in base alla premeditazione. Siamo nel tempo della premeditazione e del delitto perfetto. I nostri criminali non sono più quei bimbi inermi che adducevano la scusa dell’amore. Sono adulti, al contrario, e il loro alibi è irrefutabile: è la filosofia, che può servire a tutto, fino a tramutare in giudici gli assassini.

[…] (Il delitto) Era solitario come il grido, eccolo universale come la scienza. Ieri giudicato, oggi il delitto detta legge.3

Il problema vero di Camus è capire se il delitto sia, oggi al tempo delle ideologie, come lui stesso lo chiama, giustificato e giustificabile.

E, dal momento che diviene tale, viviamo in una sorta di ribaltamento tra l’atto compiuto e la norma che lo proibisce: il delitto è legge a se stesso, anzi è lui che detta legge.

Se l’omicidio ha le proprie ragioni, ci dice Camus, la nostra epoca e noi stessi siamo nella coerenza, se non le ha allora siamo nella pazzia e solo scampo è ritrovare la coerenza o mutar strada.4

Se ci appare del tutto normale passare dalla cura del nostro animale domestico, da quella a un nostro parente stretto, alla giustificazione di uno o migliaia di morti per qualsiasi motivo, vi è un chiaro problema di follia individuale e collettiva. Siamo di fronte a un esercizio a casaccio, capriccioso, sempre per citare Camus, di malizia e di virtù.

L’albero della conoscenza, il lignum boni et mali, è da intendersi come un lignum boni aut mali?

A volte è solo un problema di congiunzione o di una serie di enormi problemi teologici che una tale congiunzione introdurrebbe.

Ovviamente non è qui la sede. Ma, per restare nei termini di coerenza antropologica, se possiamo consacrarci alla cura dei lebbrosi e nello stesso tempo costruire forni crematori o distruggere, ospedali, scuole, intere popolazioni, non esiste più né pro né contro, tutto diventa possibile 5.

Male e bene si reggerebbero a vicenda, l’uno fornirebbe la stampella dell’altro, l’uno giustificherebbe l’altro. Rischio di ogni dualismo. Contraddizione dalla quale Paolo di Tarso chiede di essere liberato, nella lettera ai Romani.

Posti in questa contraddizione, per il quale bene e male si autosorreggono nel nostro operare, posti su un livello di indifferenza e di compensazione che ci permette di evitare l’annientamento al quale ci porta l’eccesso del bene e l’annientamento al quale ci porta l’eccesso del male, rischiamo di soccombere di fronte a quello che appare come un criterio pratico di valutazione , l’efficienza come ci ricorda Camus:

Nulla essendo vero o falso, buono o cattivo, la norma consisterà nel mostrarsi il più efficace, cioè il più forte”.6

Se bene e male possono coesistere, e sono in qualche modo equivalenti, perché non utilizzare l’uno o l’altro in base alla loro efficienza ed efficacia rispetto ai fini?

Ma ogni dualismo, come si sa, porta sempre con sé un terzo argomento.

Ripartiamo dal racconto di Ramuz, anzi proseguiamo nell’argomentazione.

Nel 1836, un anno prima della morte, durante un soggiorno alle pendici del Vesuvio, Giacomo Leopardi scrive La ginestra. Pianta umile del deserto, la ginestra tenta ostinatamente di resistere alla forza distruttrice del vulcano. Nell’indifferenza della natura, la pianta si oppone. Lei non obbedisce ad alcuna legge morale, la ginestra resiste perché è una ginestra. Se esistesse un elemento esterno, un obbligo a resistere, potrebbe essere sostituito dal suo opposto, o da un ulteriore elemento, a sua volta sostituibile. Qualsiasi norma, prescrizione, non sarebbe altro che un alibi per evitare alla pianta di essere ginestra in quei frangenti.

La prima cosa che Caino fa è di non assumersi la responsabilità dell’assenza del proprio fratello. Sono forse il suo guardiano? Essere guardiano, l’aver cura, essere responsabile non è un principio divino eppure, nella risposta di Caino, viene introdotto un elemento nuovo diverso dalla stessa prescrizione di non uccidere.

Amplifichiamo e generalizziamo la domanda-giustificazione di Caino. Mi sento o non mi sento responsabile dei miei simili, del mio prossimo, della natura che mi circonda, di tutto ciò che accade sul nostro pianeta. È, o non è, nella mia natura questa responsabilità come lo è il respirare, il nutrirmi.

Meglio detto: questa responsabilità mi regge in vita al pari delle altre funzioni vitali?

E se sono responsabile, non posso essere il suo opposto, non mi posso nascondere dietro gli equilibri di un salvifico dualismo.

Se non lo sono, semplicemente non sono umano.


1 C.F. Ramuz - La presenza della morte. 2025 Feltrinelli

2 La Bibbia, Genesi, cap.4

3 Albert Camus, L’uomo in rivolta, 2019 Bompiani, pag. 5

4 idem, pag. 6

5 Idem, pag.6

6 Idem, pag. 7


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L'autore



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Gianfranco Brevetto, laureato in sociologia, giornalista e narratore, ha ricoperto incarichi per attività didattiche presso le università di Napoli e Pisa. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni. È stato ideatore e curatore dei volumi Albert Camus. Mediterraneo e conoscenza (2003) e Georges Brassens. Una cattiva reputazione (2007). Ha tradotto dal francese: Maurice Halbwachs, I quadri sociali della memoria (1997), Pascal Bruckner, La tentazione dell’innocenza (2001), Emmanuel Bove, La Coalizione (2011) ed Emmanuel Bove, Il Presentimento (2012). Ha curato la prefazione del volume di P. Fisogni, Into the Void. The experience of emptiness between the Real and the Digital (2020). Dirige, dal 2016, la rivista “Exagere” (www.exagere.it della SIPP Società Italiana di Pedagogia e Psicologia.

 
 
 

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